La pandemia e le crisi commerciali
di Paolo Lingua
Lo scontro tra la Confesercenti e Civ di San Benigno contro l’Esselunga che dovrebbe stabilirsi nella zona con un nuovo supermercato – di cui poi vedremo gli esiti definitivi ai tribunali amministrativi – è emblematico di uno stato di crisi più generale prodotto dalla pandemia. Ci sono, in termini di contestualità storica, due fenomeni, certamente contrapposti, ma che accentuano uno stato di conflittualità difficilmente arginabile. La pandemia ha provocato una crisi di fatto del commercio al minuto in tutti i settori, una situazione che ha accentuato tutte le difficoltà che da tempo avvolgono le piccole imprese. Il meccanismo delle chiusure e delle riaperture ha messo in ginocchio un settore di per sé fragile.
Al tempo stesso, per un sistema generalizzato che si va estendendo ovunque, si allarga lo spazio dei supermercati che hanno maggiori vantaggi economico per quel che riguardo l’acquisto e la collocazione sul mercanto di una serie di prodotti che una struttura più estesa può collocare in vendita a prezzi più vantaggiosi. In realtà, a voler mettere a fuoco la situazione della Liguria, dobbiamo osservare che in una fascia temporale che ha caratterizzato gli anni Ottanta e larga parte degli anni Novanta, ci sono stati dei settori, anche di taglio politico, del commercio gestito dai supermercati che hanno collocato i loro centri in zone strategiche della città. Altre imprese del medesimo settore, quindi, hanno avuto invece difficoltà a inserirsi.
Ma, nel corso degli ultimi tempi, gli spazi d’ingresso si sono allargati e questo spiega l’ingresso di un gruppo di alto livello come Esselunga che è riuscito a sistemarsi ad Albaro e che ora punta sia a San Benigno sia nella fascia tra Cornigliano e Sampierdarena. La crisi pandemica, nel contempo, come abbiamo accennato prima, ha accentuato invece le difficoltà dei piccoli commercianti. Di qui la crisi e lo scontro che è poi confluito in una azione giudiziaria. Di fronte a questo conflitto di interessi di tipo epocale, oscillano le posizioni delle istituzioni e, in particolare, dell’amministrazione comunale che vorrebbe evitare un confronto politico di natura processuale ma anche di respiro sociale. Infatti tutte le categorie che esprimono imprese di piccole dimensioni in queste ore stanno lanciando messaggi di allarme.
La Confcommercio, infatti, ha ricordato che solo in Liguria, per quel che riguarda la limitazioni di accesso ai bar si sono perduti 90 mila posti di lavoro. E che i danni si sono accentuati per il divieto di consumazione di un caffè al banco, anche nelle zone gialle dove prima questo servizio era possibile. Ma anche la Confartigianato annuncia le sue preoccupazioni: nel corso dell’ultimo trimestre il settore ha perduto 84 microimprese, un dato che rispecchia un calo netto anche a livello nazionale. Tremila aziende artigiane hanno chiuso i battenti. I settori del piccolo commercio, dei bar e dei ristoranti sono realtà connesse anche al settore del piccolo artigiano per via di un gioco intrecciato di forniture di merci e di strutture di servizio. I recenti provvedimenti di rigida chiusura hanno creato, al di là delle tattiche politiche, non poche problematiche perché forse si sperava in una ripresa di maggior respiro.
Va detto, in via obiettiva, che a livello di autorità sanitari e anche di governo, le preoccupazioni per il Covid – 19 sono sempre molto alte, perché il calo della diffusione non si è ancora manifestato in maniera marcata. Per questo, le rigidità normative e le chiusure si sono mantenute elevate. Forse si potrà sperare in un alleggerimento delle chiusure e dei contenimenti degli orari solo quando, grazie alle vaccinazioni in crescita, la situazione sarà alleggerita e le preoccupazioni potranno in parte cessare. A questo punto sarà possibile valutare concretamente i reali margini della ripresa e una parte delle polemiche in corso saranno attutite.
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