La grande incognita del centrosinistra
di Paolo Lingua
A osservare, in modo asettico, la radiografia delle candidature e delle liste di coalizione del centrodestra alle prossime elezioni regionali non si può che constatare che la “ragion pratica” (scomodiamo Kant) ha dominato la logica delle scelte nella più razionale delle tradizioni politiche: vale a dire correre per vincere, costi quello che costi. Infatti, nelle sei regioni dove il 20 e il 21 settembre si andrà alle urne i tre partiti del centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) hanno raggiunto un accordo, dividendo le candidature e hanno serrato i ranghi.
E’ ovvio che questa tattica aumenterà, caso per caso, le loro chances di vittoria. Il centrosinistra, invece, non ha trovato sinora alcuna quadra e non c’è una sola regione dove lo schieramento andrà unito. Il M5s andrà da solo in Veneto, Toscana, Marche, Campania, Puglia. In altre regioni ci sarà l’asse tra il Pd e i renziani. In altre ogni partito correrà da solo. Anche in Puglia, dove pure i grillini non sono lontani dalle posizioni del presidente uscente ( e ricandidato) Emiliano è stato raggiunto l’accordo. D’altro canto, le posizioni dei due partiti maggiori della coalizione che sostiene il governo Conte non sono mai omogenee: Iva, Tasse grandi opere, semplificazioni vedono scelte e giudizi differenti. La situazione, insomma, non è delle più semplici. D’altro canto, alla fin dei conti, non c’è da stupirsi più di tanto. Le posizioni dei due partiti sono decollate una decina d’anni fa da punti di partenza molti diversi, anzi addirittura contrastanti e non senza dure polemiche. La conferma viene dalla quali impossibilità di conciliare i renziani e i grillini, due movimenti che hanno soltanto una valutazione tatt8ica in comune. Quella di non andare al voto perché a tutt’oggi dispongono alla camera e al Senato più del doppio dei seggi che otterrebbero se si dovesse votare per un nuovo Parlamento alla luce dei sondaggi.
E allora? Tutti i punti interrogativi si concentrano, ancora una volta, sulla Liguria dove resta, non sappiamo sino a quanto, una posizione di stallo. Resta Ferruccio Sansa sostenuto da grillini e micropartiti della sinistra, con il no secco del Pd e di Italia Viva, che addirittura non partecipa ad alcuna trattiva. Ci sarà la lista dissidente grillina di Alice Salvatore che correrà da sola, oltre che forse la lista autonoma, che raggrupperebbe gruppetti di movimenti moderati (socialisti, radicali ecc.), guidata da Aristide Massardo che, possibile candidato di compromesso da tempo in bilico nelle trattive, ha rotto gli indugi.
Infine i renziani potrebbero correre da solo e sinora si è adombrata la candidatura di Elisa Serafini, ex assessore del comune di Genova. Tutto però è avvolto da una nebulosa per adesso inestricabile. Continua a girare la voce, non confermata né smentita, d’un possibile “quarto nome” capace di agganciare la coalizione. I vertici dei due partiti maggiori sembrano comunque imbarazzati e perplessi, con le leadership nazionali ferme in attesa d’un passo decisivo. Comunque vada la questione della Liguria è stata gestita nel modo peggiore, indebolendo sul piano dell’opinione pubblica le chances del centrosinistra in Liguria. Balla un ipotetico vaso del destino dove risuonano monete che si urtano tra di loro, ma non escono allo scoperto.
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