La fragilità dei partiti e della politica italiana
di Paolo Lingua
Gli italiani sono testimoni, in questi giorni di calura ferragostana, della crescita – a volte addirittura bizzarra - impetuosa e progressiva della polemica e dei contrasti all’interno dei partiti e degli schieramenti: un fenomeno che vale in particolare per la sinistra, ma che è presente, molto di più di quanto non appaia, anche della destra. Partendo dall’area che sembrerebbe meno incrinata assistiamo in questi giorni al nervosismo d’una parte della Lega (i nostalgici di Bossi, nel Nord), la crescita della leadership di Zaia, qualche secessione elettorale (anche in Liguria con la discesa in campo del sindaco di Diano Marina, Chiappori).
Anche in casa di Berlusconi non mancano nervosismi: in Liguria, ma non solo, pur essendo alleati la coalizione di Forza Italia corre in autonomia e in rivalità con “Cambiamo!” di Giovanni Toti. In realtà, nel centrodestra convivono, quasi obbligati per poter vincere a ogni contesa elettorale, anime fortemente conservatrici e sovraniste (Fratelli d’Italia che pure è in crescendo secondo i sondaggi) e anime liberal-moderate che strizzerebbero volentieri l’occhiolino ai “cugini” moderati del centrosinistra se ci fossero i numeri elettorali a sostegno d’un “salto”. Ancora più contraddittoria è la discussione, a volte palese a volte sotterranea, nell’area complessa e turbolenta della sinistra, con contrasti che sono emersi, curiosamente, in questi giorni nella prospettiva del voto in primavera in alcune grandi città strategiche (Torino, Roma, Milano, Bologna, ecc.).
L’aspetto peculiare di questa impennata è che il dibattito sulle potenziali alleanze nasce prima di conoscere l’esito del voto nelle sette regioni e in molte amministrazioni comunali previsto per il 20-21 settembre. Quel voto, ancora assai incerto in molte aree, potrebbe portare a cambiamenti strategici o a scelte differenti. Non solo: a settembre ci voterà anche il referendum sul taglio dei parlamentari. A questo proposito si parla anche d’un possibile legge elettorale, con forti contrasti all’interno di tutti gli schieramenti, sulla prospettiva del maggioritario o del proporzionale. Ma sembra difficile che il Parlamento riesca a varare una legge elettorale prima del voto. Restano però forti contrasti in entrambi i blocchi politici. La Lega sembra a favore (almeno in gran parte) così come Fratelli d’Italia mentre Forza Italia esprime forti dubbi. Nella sinistra si stanno dividendo le posizioni del Pd e del M5s: quest’ultimo è favorevole al taglio che è uno dei suoi “leit motiv” basati sull’antipolitica, mentre nel Pd si va facendo strada l’ipotesi di votare contro se non ci sarà una legge elettorale. Per non parlare dei piccoli partiti che temono di sparire come conseguenza del taglio dei parlamentari.
Una belle confusione, non c’è che dire. Ma è una confusione sulla quale ora s’è sovrapposta una non facile contesa sulle elezioni di primavera nei grandi comuni. E’ tutto decollato dalla decisione di Virginia Raggi di autocandidarsi, sostenuta da una parte dei grillini, ma poco gradita alle altre piccole tribù del partito da tempo in lotta. Lo stesso discorso vale in casa Pd dove la Raggi non è gradita, anche perché il partito è all’opposizione in Campidoglio. Altro problema riguarda Torino in margine la caso dell’Appendino, tra l’altro nemica giurata della Tav, invece voluta dal Pd: un tema sul quale il governo dovrà prima o poi decidere, invece di baloccarsi con il nuovo “gioco”, quello del tunnel sottomarino dello Stretto di Messina.
I cittadini a questo punto dovranno riprendere fiato di fronte al sorgere di infiniti contrasti, tattici o personali, con nomi vecchi e nuovi che emergono e spariscono in 24 ore. La vera radiografia è la fragilità cronica di partiti che non hanno più struttura né organizzazione territoriale e che, in gran parte, oggi hanno suffragi assai diversi da quelli presenti negli organi istituzionali. C’è anche tanta paura d’un voto anticipato se dovesse implodere una crisi imprevista. E non ci sono robusti progetti per affrontare la crisi economica che sembra incontenibile. Per cercare di arginarla e rovesciare la situazione, occorrerebbe scelte concrete, chiare e da far decollare in tempi brevi con una organizzazione gestionale sul “modello Genova”. La le scelte accontentano e deludono nello stesso tempo. Bisognerebbe capire il consenso a 36°° non esiste. Ma per capirlo occorrerebbe rileggere la vita di Churchuill, di De Gaulle, di Adenauer e magari di De Gasperi.
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