La faticosa pace (provvisoria) in casa M5s
di Paolo Lingua
Da ieri sera è stata diffusa, sia pure in termini generali e all’insegna della massima cautela, la notizia della “pace” tra i vertici del M5s. Non è chiaro se si tratta di una pace definitiva oppure d’una tregua armata, frutto di un faticoso compromesso dei “sette saggi”, tutti colonnelli del M5s assai preoccupati di perdere posti nel governo oppure di finire a pezzi. La spiegazione ha una logica: lo frattura tra Grillo e Conte non avrebbe portato una divisione in due schieramenti, ma forse in qualcuno di più, provocando di fatto la frattura generale del movimento da tempo provato. I prossimi, da quel che è stato annunciato, dovrebbero portare a un nuovo incontro tra Grillo e Conte (che alla fine formeranno una sorta di diarchia con mansioni differenti) e a una verifica come sempre su una piattaforma, anche se non è chiaro se si tratterà della storica “Rousseau”, il cui ruolo nel movimento non è stato ancora definito.
E’ indubbio che il movimento, dopo lo scontro assai duro anche in termini di giudizio reciproco tra Conte e Grillo, ha visto con terrore dinanzi a sé la possibilità d’uno scioglimento in infinite piccole tribù con il rischio di finire in un assoluto dissolvimento alle prossime elezioni politiche. Ma, sempre all’interno del movimento, molti aspetti restano ancora incerti e rendono assai perplessi per quel che saranno le prossime scelte. Infatti, la questione sulla legge di riforma sulla giustizia all’interno del M5s divide ancora gli animi. Grillo e i leader “governisti”, guidati da Di Maio, sono disposti ad accettare la proposta di Draghi, il compromesso, in parole povere, rispetto alle vecchie posizioni contrapposte. Conte e i suoi fedeli vorrebbero invece dare battaglia proprio partendo dalle vecchie posizioni di principio, di matrice giustizialiste, sulle quali è fondato il M5s, contenuti politici che sarebbero stati abbandonati dallo stesso Grillo in funzione della ricucitura del movimento alla vigilia delle elezioni amministrative, anche se le prospettive di alleanze organiche con il Pd e con le altre forze di sinistra non sono rosee, perché non è facile trovare la cosiddetta “quadra” nelle grandi città a cominciare da Roma.
Non a caso, da qualche settimana, da quando è cominciata la “querelle” interna al M5s, i vertici del Pd, già alla prese con non poche contraddizioni interne, hanno dimostrato non poco imbarazzo. Non è facile muoversi sul filo di faticosa alleanze con un interlocutore che ondeggia tra un recupero del pragmatismo politico, e che, nello stesso tempo, vorrebbe trovare candidati del tutto estranei alla politica, con programmi che ormai da tempo sono usurati, a partire dagli eccessi di ambientalismo e di moralismo retorico. Poi ci sono le questioni nazionali: lo stesso Giuseppe Conte, che non ha alcun feeling con Draghi, sostenuto dalla parte più inquieta del movimento e dei parlamentari sul filo dell’uscita dallo schieramento, annuncia discussioni e rischi di voto contrario per quel che riguarda la riforma della giustizia e dell’organizzazione della magistratura.
Ci sono rischi di uscita dal sostegno al governo da parte d’una parte di deputati e senatori? Inoltre non è ancora chiara la posizione, in genere sempre polemica, di Di Battista, quasi sempre suscitatore di polemiche che, però, non arrivano mai a conclusione. Si tratterà di capire se l’annuncio della tregua è una “pace parziale” o comunque provvisoria oppure se è una faticosa operazione di ricucitura. Ma, posto che si riesca a trovare una sorta di pace, sarà tutta la verificare la vita d’un movimento che si dovrebbe reggere su una sorta di diarchia. Come andrà la convivenza tra Conte e Grillo con ruoli di vertice differenti ma, comunque, sempre a rischio di coincidenza di ruoli e di funzioni? E’ una vicenda che sarà tutta da verificare giorno per giorno e che, ancora non è dato di capire, quale impatto potrà avere su un elettorato volubile come è quello con cui tutti abbiamo a che fare da tempo.
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