La discussione nel governo sulla revoca o no della concessione autostradale ad Aspi
di Paolo Lingua
E’ probabile, ma i “se” e il “ma” sono d’obbligo in casi come questo, che venerdì il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte decida se decretare il ritiro delle concessioni alla Società Autostrade per l’Italia che è controllata dal gruppo finanziario Atlantia della famiglia Benetton. Il tema della revoca è emerso all’indomani del crollo del ponte Morandi soprattutto da parte del M5s che ancora in questi giorni insiste con veemenza sulla decisione. Il M5s si sente più motivato sulla decisione dopo la serie di incidenti, di crolli e di denunce di rischi in molte autostrade (verrebbe da dire quasi tutte) del nostro Paese. Anche se non c’è ancora una identificazione specifica di responsabilità civili e penali che porti a un rinvio a giudizio, sono emersi molti aspetti preoccupanti di incuria e di minimizzazione dei rischi.
L’argomento ha creato non poche problematiche anche all’interno dell’Aspi e del suo referente Atlantia, con accuse e scarichi di dirigenti e di società subordinate incaricate di controllare e di relazionare lo stato dei tratti autostradali, dei viadotti e delle gallerie. Il clima, insomma, è molto teso. Ma, nel caso di revoca (la competenza è del Governo e non passerà per il Parlamento), si sa già che Aspi e Atlantia faranno ricorso sia a livello nazionale sia a livello Ue. Si discute se saranno richiesti danni – si allude a oltre 23 miliardi - o per via amministrativa (Consiglio di Stato) oppure per via dei tribunali ordinari.
Da parte del Governo, sia pure per voci ufficiose e non controllate, si spera di ridurre l’eventuale danno a meno della metà, ma su questo campo tutto è incerto e vago. Tanto è vero che tra gli alleati dell’esecutivo accanto alla posizione dura dei grillini e anche dell’estrema sinistra, restano i dubbi, ancora molto alti del Pd e in particolare dei renziani: questi ultimi si sono sempre dichiarati contrari alla revoca, affermando che il danno allo Stato diventerebbe ancora maggiore e infinito nel tempo (si pensa a cause lunghissime), mentre sarebbe preferibile imporre alla società di gestione la realizzazione dei possibili rischi di manutenzione e tutte le riparazione. Una tesi non del tutto lontana a quella del Pd che oscilla tra le due ipotesi e che, appunto, teme che i danni potrebbero essere maggiori di quelli già prodotti. Al tempo stesso, nel caso di revoca, per Aspi c’è il rischio del fallimento.
E allora? La questione ha anche – e non è certo un aspetto da sottovalutare – una importante coda politica che cade nel mezzo d’un dibattito che coinvolge soprattutto i grillini e il Pd, ciascuno nel proprio interno. E si torna al dubbio sulla durata del governo e dell’alleanza. Si continua a parlare di progetti per arrivare con un piano operativo organico sino alla scadenza naturale del 2023.
Ma sarà possibile, visto che ogni giorno nascono visioni opposte e dissensi? E poi cosa accadrà dopo il voto di fine gennaio in Calabria ma soprattutto in Emilia Romagna? C’è il rischio che scatti la crisi, considerato che in quelle occasioni il Pd e il M5s andranno divisi con candidati diversi? Non sembra che il presidente Conte per decidere sulle autostrade voglia aspettare ancora dieci giorni, ma ormai in politica si naviga a vista e da un giorno all’altro le prospettive sembrano cambiare a seconda dei venti che spirano.
I partiti che sostengono il Governo oscillano dalla voglia di rottura (ma che esiste in ciascuna componente) e, al tempo stesso, la preoccupazione di andare al voto anticipato con il forte rischio d’una vittoria del centrodestra per adesso in testa nei sondaggi. Scelte amministrative e dubbi politici si mescolano aumentando la confusione. Vedremo in pochi giorni, sentiti anche i pareri dell’Avvocatura dello Stato, a quale soluzione alla fine si punterà.
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