La complicata storia della siderurgia in Italia
di Paolo Lingua
Forse solo un abile scrittore di libri gialli – oggi sono più che mai di moda – potrebbe spiegare i complicati misteri della vicenda della ex Ilva, azienda siderurgica nata, come grande innovazione, all’inizio del Novecento e poi passata dallo stato ai privati e viceversa in contesti socio-economici sempre di difficile comprensione anche facendo riferimento all’andamento dei mercati internazionali. Infatti dopo oltre settant’anni di gestione pubblica (legata alla storica IRI) l’Ilva (chiamiamola sempre così per comodità)è passata al gruppo privato Riva che l’hanno gestita per diciassette anni (dal 1995 al 2012) per poi essere commissariata dallo Stato e quindi venduta alla società sovranazionale Arcelor Mittal nel 1918. Ma la gestione del gruppo Mittal , nel volgere di soli due anni, è stata caratterizzata da un andamento tormentato, neppure troppo chiaro nelle intenzioni dell’acquirente che pure è uno dei maggiori gruppi mondiali dell’acciaio. E stato infatti un susseguirsi di incontri a tre (azienda, governo e sindacati) con minacce, chiusure, modifiche del modello d’acquisto, proposte di tagli pesanti del personale, di riduzioni della produzione, problematiche sulla situazione d’inquinamento ambientale (solo per Taranto), nonché scioperi parziali e totali.
Oggi, a livello ufficiale, la notizia d’un raggiunto accordo. Il gruppo pubblico Invitalia (diremmo una sorta di erede della scomparsa IRI) e Mittal gestiranno, con pari struttura azionaria, l’azienda. Ma, a quanto s’è appreso, alla fine del 2022, sarà lo Stato a ottenere la maggioranza. Torneremo, a quanto s’è capito, a una tradizionale e storica gestione pubblica. Resta, ma non è colo una curiosità, da capire perché Arcelor Mittal s’è dato tanto da fare per vincere la corsa all’acquisto, quando poi ha fatto il possibile in questi due anni per ridimensionare l’acquisto e i suoi contenuti e per arrivare, alla fine della storia, a una sorta di ritiro, tutt’altro che glorioso. Le organizzazioni sindacali, prima ancora di conoscere i contenuti dell’ultimo (ma sarà davvero l’ultimo?) accordo, hanno già fatto sapere che non accetteranno tagli agli organici. Oggi l’azienda opera in Italia con tre stabilimenti in funzione: Taranto, Genova e Novi Ligure e con un organico che, sia pure con il gioco della cassa integrazione a rotazione., ha ancora 10.700 dipendenti. Arcelor Mittal aveva tentato, senza riuscirci, di tagliare
L’organico del 40%, impuntandosi a rifiutare le spese e le responsabilità per la situazione di crisi ambientale di Taranto. La trattativa, come si è detto prima, non aveva mai trovato una soluzione, anche perché la discussione con il governo e con i sindacati non si era mai conclusa ma era sempre stata sospesa o rinviata. Ora si attendono le eventuali novità, tenendo presente che la più profonda realtà dell’accordo non è nota e non è chiara. L’accordo che divide per un anno o poco più la gestione dell’azienda fifty-fifty è di fatto interlocutorio e molto si capirà quando la mano pubblica tornerà a gestire l’interno complesso siderurgico. Per certi aspetti i sindacati hanno più speranze nella mano pubblica che, di fatto, evita gli scontri pesanti su molti temi, quello dell’occupazione in particolare. C’è poi la questione dell’attuale momento di crisi di tutti i settori produttivi (basterebbe pensare al mercato dell’auto, ch è strettamente legato alla produzione dell’acciaio). Ma, dopo il 2023 potrebbe, chiusa come si spera la vicenda della pandemia, esserci una ripresa a 360° come prevedono gli osservatori economici e statistici. Ma,allora, perché il gruppo Mittal, nella prospettiva d’una ripresa, decide di mollare? Anche questo, per il momento, resterà un singolare mistero, che vale anche per la mano pubblica. Per salvare l’azienda perché allora venderla e non puntare, dopo il commissariamento, a una ristrutturazione impostata sull’interesse generale. La sensazione diffusa è che si sia proceduto a tentato, in un contesto di cambiamenti politici e di fragilità di gestione, accentuata dalla pandemia. Non resta che aspettare e sforzarsi di capire. Ma non è una impresa semplice.
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