La "Bahri Yanbu" e la nostalgia degli anni del Vietnam
di Paolo Lingua
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Il Punto di Paolo Lingua
Più di quarant’anni fa, ai tempi della guerra del Vietnam, i portuali genovesi e le forze di sinistra flettevano i muscoli rifiutando di far attraccare a Genova le navi battenti bandiera degli Usa e dirette nel Sud Est asiatico.
Si rifiutavano trasporti di armi o di materiale bellico. Eravamo ancora negli ultimi anni della cosiddetta “guerra fredda” e il nemico da battere per la sinistra erano gli americani. Accadde, come conseguenza, che le unità “impedite” dirottarono ad altri scali e il porto di Genova, allora in avanzata crisi (non era ancora giunto a farlo risorgere Roberto D’Alessandro) aumentò il calo del suo traffico.
La Fiera Internazionale, quando ancora funzionava, realizzò un anno un salone nautico per unità militari e di controllo delle acque territoriali. Anche in questo caso ci furono moralistiche impennate di indignazione, con autorità locali sdraiate per terra nella zona della Foce. La manifestazione fu soppressa e la Fiera perdette una occasione di livello internazionale dal punto di vista del business.
In questi giorni si annunciano assemblee e si minaccia il divieto di attracco alla nave “Bahri Yanbu” battente Bandiera dell’Arabia Saudita, salpata dagli Usa e diretta a Gedda. Sulla nave, a quanto pare, ci sarebbero dei cannoni, ma non sono previsti carichi e scarichi a Genova, dove l’attracco sarebbe semplicemente funzionale alla rotta già prefissata.
Non sembra possibile – dal punto di vista strettamente legale – impedire l’attracco. Ma la contestazione , partita da portuali, associazioni pacifiste, sindacati ed esponenti dei partiti di sinistra, parte dal presupposti che le armi a bordo dell’unità saudita potrebbero essere destinate alle truppe nello Yemen dove è in corso una feroce guerra civile e quindi impiegate contro i rivoltosi.
Ora non si sa come andrà a finire: o la nave farà un rapido attracco (previsto tra lunedì e martedì prossimi) con magari manifestazioni e cortei, oppure opterà per scavalcare Genova e fermarsi altrove. La contestazione non sembra aver suscitato grosse emozioni in città dove i problemi sono assai più gravi e seri, anche perché su tutto il territorio si allungano le ombre di aziende in crisi (Bombardier, Piaggio, ecc.) e dove l’impiego di esplosivi sembra destinato solo ad accelerare le operazioni infinite della demolizione del Ponte Morandi, altro argomento cruciale.
Il “revival” dei lontani anni della guerra nel Vietnam, episodio storico sul quale non è stato ancora compiuto un completo approfondimento (le armi poi erano fornite da entrambe le parti e, purtroppo, fecero sui due fronti decine di migliaia di vittime tra militari e civili), anche perché è sempre artificioso o ideologizzato il distinguo tra “bene” e “male”, mentre ormai è un segno di civiltà rifiutare le guerre quasi sempre inutili.
Non è improbabile che il clima di bisticcio, contestazione e decollo di “spot” polemici e gratuiti che sta caratterizzando questo periodo pre-elettorale abbia alimentato la voglia di contestazione, inserendo un elemento internazionale ed extra-europeo per aumentare la rissa. In effetti, anche se il rischio d’una bassa percentuale di elettori sussiste, ci sono scommesse pesanti sul tavolo.
In Europa sono in gioco grossi equilibri che investono la struttura dell’Ue, attaccata dai partiti nazionalisti e sovranisti di destra e di estrema destra. In Italia non è dato di capire, per il momento, se l’attuale Governo reggerà a lungo dopo l’esito elettorale con possibili elezioni anticipate e un clima di incertezza. Di qui il recupero del modello d’una protesta verbale tutto sommato poco rischiosa, perché i cannoni, se ci sono, resteranno sigillati, nella stiva della nave saudita.
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