L’acciaio torna allo Stato (ancora una volta)
di Paolo Lingua
Invital (vale a dire lo Stato, una sorta dell’eredità della storica IRI) ha raggiunto l’accordo con Arcelor Mittal dopo una complessa e interminabile trattativa ed entra nella ex Ilva al 50%, una percentuale azionaria che dovrebbe salite, la prossima primavera, al 60%. D’ora innanzi, le decisioni sulla gestione della storica impresa siderurgica, ancora una delle maggiori d’Europa nonostante la attuale crisi produttiva, passeranno per la mano pubblica, vale a dire per i vertici della politica, come ai tempi dell’Italia del “boom”, quando si decise di far decollare l’Ilva, all’inizio degli anni Cinquanta, ponendo la sua capitale proprio a Genova con stabilimenti a Cornigliano e la direzione generale nei palazzi di Carignano.
Come molti ricordano, quando Genova era decaduta industrialmente, la capitale dell’acciaio passò a Taranto e per 17 anni (1995-2012) fu controllata dal gruppo privato della famiglia Riva. Poi ci furono azioni giudiziarie, polemiche sull’inquinamento (peculiare Taranto) e ci furono chiusure a Piombino e a Bagnoli. Oggi regge ancora Taranto, con presenze minori e collaterali di Genova e di Novi Ligure. Dopo un periodo di commissariamento, con gestione confusa, il gruppo internazionale Arcelor Mittal ha acquistato l’ex Ilva, ma negli ultimi cinque anni, Arcelor Mittal si è impelagata in una trattativa di gestione interminabile (e non sempre comprensibile) con il governo e con i sindacati, mentre a Taranto sono continuate le contestazioni da parte delle istituzioni locali e dei movimenti ecologisti e ambientalisti sullo stato di inquinamento della città e della diffusione di gravi malattie che hanno colpito una alta percentuale della popolazione. In parole povere i problemi sono ancora tutti sul tavolo.
Ma non si comprende per ora, né è facile obiettivamente capire perché Arcelor Mittal, che pure conosceva benissimo lo stato dell’azienda italiana, ha proceduto all’acquisto per poi contestare tutti gli aspetti della gestione, puntando anche a imporre forti tagli occupazionali e quindi andare a scontro con il sindacato. Da quanto s’è appreso, con il ritorno della gestione pubblica dovrebbe rimanere fermo il numero degli attuali occupati (10700), anche se continueranno le casse integrazione a rotazione. Occorrerà aspettare l’assetto azionario definitivo previsto in primavera per capire a fondo la struttura che si intende dare all’azienda e quali interventi specifici affrontare a cominciare dagli interventi di tipo ambientale che comportano la ristrutturazione del laminatoio a caldo, la fonte principale dell’inquinamento di Taranto. A Genova e a Novi esistono solo laminatoi a freddo che non hanno problematiche di tipo ecologico. Ci sono troppi aspetti ancora vaghi che necessitano chiarimenti. Anche se ormai si torna sotto il controllo pubblico, restano tutti gli interrogativi sul perché dell’ingresso di Arcelor Mittal nella ex Ilva.
Non è possibile che l’azienda sovranazionale ignorasse le problematiche e le implicazioni dell’ Ilva che peraltro era e resta assai forte sul mercato europeo e mondiale e di importanza strategica fondamentale appena decollerà la ripresa industriale, quando sarà cessata la pandemia. Tra l’altro, si ritiene che la ristrutturazione e il potenziamento della siderurgia italiana potrebbe usufruire, quando arriveranno, dei fondi del Recovery Fund nella prospettiva d’una rilancio “alla grande”. Vedremo dunque che cosa ci riserverà il futuro, anche se non mancano gli interrogativi dubbiosi. Che cosa farà Arcelor Mittal quando sarà azionista di minoranza? Non nasceranno, come in passato, contrasti tra le forze che sostengono il governo, in particolare tra il Pd e il M5s? Anche se l’accordo di questi giorni rappresenta una tappa di chiarezza la situazione è ancora avvolta in una coltre di nebbia, perché il passato ci ha insegnato a temere colpi di scena e improvvisa modifiche del panorama.
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