Italia vola in Europa: il sogno della normalità
di Paolo Lingua
Le vittorie in crescendo della nazionale di calcio italiana hanno, di partita in partita vittoriosa, rianimato il tifo che, per via della pandemia da due campionati ha allontanato il pubblico dagli stadi. Inoltre, come peraltro è già stato detto più volte, c’è stata una ripresa in progressione della passione e del tifo per la Nazionale che, non molti anni fa, esclusa dai Mondiali aveva gettato i tifosi nella delusione. Il fenomeno del ritorno in piazza, nei grandi cortili dei bar e dei locali di aggregazione, è stato come una sorta di fulmine. E le motivazioni non sono soltanto d’ordine sportivo. Certo, c’era una delusione repressa dopo performance non eccellenti della nazionale italiana, ma al tempo stesso, al di fuori della dimensione sportiva e tifosa, c’era anche il senso di repressione forzata della vita in pubblico, frutto della necessaria prudenza e dei divieti di presenza in pubblico per via della pandemia.
Le vittorie in campo calcistico hanno stimolato anche un sentimento identitario che, anche in passato, il calcio ha sempre suscitato. Ci sono stati sociologi che, più di quarant’anni fa, hanno studiato comportamenti e atteggiamenti collegando il tifo e i successi della maglia azzurra, come riscatto di delusioni politiche e sociali (si pensava, allora, alla seconda guerra mondiale tra disastri e guerra civile quindi matrice di contrasti e antitesi) e quindi a una prospettiva nella quale riemergeva il tricolore come elemento di unità e di orgoglio nazionale, un sentimento che non dava vita a contrasti ideologici e socio-economici ma aveva appunto un senso collettivo, popolare di affratellamento. Dal momento che viviamo nel contesto d’una società, ormai a livello internazionale, che in tempi stretti crea differenti sistemi di comunicazione (basterebbe pensare ai social che provocano effetti anche contrastanti e fragili, dopo iniziali impennate), non ci dobbiamo stupire.
Ma è indubbio che, proprio nel volgere di poche settimane, è stato proprio il tifo per la nazionale a trascinare fuori di casa la sera non solo giovani, ma anche cittadini di tutte le età, desiderosi di una dimensione collettiva, frutto del collegamento con il tifo. Il canto dell’inno nazionale a squarciagola, gli abbracci, gli applausi, le danze improvvisate collettive non sono una sostanziale novità. Sono spettacoli di cui , in passato, siamo già stati testimoni, ma che da anni (prima per le sconfitte del pallone e poi per la pandemia) in qualche maniera tutti si erano dimenticati. O meglio, avevano scaricato nella memoria. In un certo senso, le manifestazioni di tifo che ci sono state in queste settimane in tutta Italia, sono un aspetto, anche semplicistico se si vuole, di un desiderio di ritorno alla vita precedente e anche al muoversi in un dimensione di collettività.
E’ ovvio, come si accennava prima, che, in questo contesto di diffusione del Covid 19, ci sono rischi di accessi, in particolare per gli assembramenti, le danze e gli abbracci senza l’uso della mascherina. E non mancano le preoccupazioni per i prossimi giorni perché sono sempre possibili, anche con le nuove forme di infezione e con la continua modificazione dei virus, riprese di focolai di pandemia. E questo sarebbe davvero il blocco del ritorno alla normalità tanto agognato. Ma, ormai, dobbiamo aspettarci una serata eccezionale – vada come vada – per domenica prossima. L’Italia ha conquistato l’accesso alla finale e nulla potrà fermare le sortite in pubblico, anche se le autorità amministrative locali puntano a frenare gli assembramenti nelle piazze e nelle zone dove si conta di montare i maxischermi. D’altro canto siamo di fronte a una potenziale festa collettiva. Sono milini gli Ialiani che non vogliono vedere la partita finale in casa. Felicità e delusione vanno consumate a furor di popolo.
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