Istat, persi 11mila posti di lavoro nel terzo trimestre 2020 in Liguria
di Redazione
Maestripieri (Cisl): "Situazione drammatica. Servono misure straordinarie per evitare che buona parte della società scivoli nella povertà"
Un calo di 11mila posti di lavoro nel terzo trimestre 2020 in Liguria rispetto allo stesso periodo del 2019. E' la situazione che emerge dai dati pubblicati dall’Istat sull’occupazione nella nostra regione. Attualmente gli occupati tra dipendenti e indipendenti sono 618mila, mentre nel III trimestre 2019 erano 629mila. Chi ha pagato il conto più salato sono i lavoratori dipendenti, ovviamente quelli i cui contratti erano in scadenza e non sono stati rinnovati: in un anno sono passati da 465mila a 445mila, mentre gli indipendenti sono cresciuti da 164mila a 173mila. Si sentono gli effetti dell’emergenza Coronavirus anche nel periodo tra luglio, agosto e settembre, anche se c’è stata una leggera ripresa considerato che nel secondo trimestre 2020 in Liguria erano stati addirittura 25.081 gli occupati in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Segnali positivi dall’industria, che aumenta da 77mila occupati nel III trimestre 2019 a 80mila nel terzo trimestre 2020. Immutate i numeri nel settore delle costruzioni, che resta a quota a 37mila. Leggerissimo aumento (mille unità) nei settori commercio, alberghi e ristoranti che passano da 153mila lavoratori a 154mila. Il calo drastico nelle altre attività dei servizi: da 351mila a 333mila.
"La situazione è drammatica e servono misure straordinarie per evitare che l'intera società scivoli nella povertà prima che finisca l'emergenza sanitaria – avverte Luca Maestripieri, segretario generale della Cisl Liguria -. Non servono parole e discussioni, serve l'immediato, concreto e congruente impegno del Governo e delle Regioni. In Liguria un primo passo è stato fatto con la riprogrammazione del Fondo Sociale Europeo, da noi fortemente sostenuto. In ambito locale bisogna continuare su questa linea e rafforzare il metodo del confronto su tutte le tematiche che riguardano il lavoro, la sanità e il fisco. In campo nazionale c’è da affrontare il tema delle politiche attive del lavoro, della riforma della Naspi e dei contratti di solidarietà per evitare i licenziamenti di massa: i fondi in finanziaria sono allo stato attuale di appena 500 milioni di euro, assolutamente insufficienti per far fronte all’emergenza. Intanto si avvicina il disastro: la fine del blocco dei licenziamenti fissata nel prossimo 31 marzo. Entro quella data è necessario far ripartire le grandi opere, gli investimenti sulla digitalizzazione, su innovazione e ricerca, istruzione, ed è urgente rafforzare i contratti di solidarietà in modo da incentivare le aziende a non licenziare, potenziando contestualmente strumenti di ammortizzazione sociale per chi perderà il lavoro”.
“Oltre a tutti i provvedimenti di sostegno che sono necessari come l'aria ai lavoratori, alle imprese e all'intero paese per evitare il disastro sociale – conclude Maestripieri – è necessario non perdere mai di vista l'equilibrio, difficilissimo, tra economia e pandemia. L'unico modo di ripartire è fermare il virus evitando le paventate terza e quarta ondata di contagi, perché più si prolunga l'emergenza meno le imprese, sempre più in difficoltà, riusciranno a fare barriera a licenziamenti e chiusure”.
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