In tribunale il destino della Carige
di Paolo Lingua
In linea di massima, entro il prossimo novembre, salvo ritardi o eccezioni non previste per il momento, dovrebbe essere chiaro il destino della banca Carige, per il momento “bloccata” sul mercato dopo il “no” alla sua acquisizione da parte della Cassa Centrale Banca di Trento. Un passo indietro che, al di là di erronee interpretazioni mediatiche dei mesi scorsi, era largamente prevedibile. L’istituto ligure, un tempo leader finanziario territoriale, da molti mesi è di fatto “bloccato” proprio perché sulla sua gestione precedente (caratterizzata da non pochi cambi di vertice e anche da un periodo commissariale) pendono importanti cause.
La più importante riguarda il Gruppo Malacalza, sino a poco tempo fa azionista di riferimento (da un circa 28% delle azioni è poi sceso per le scelte dei vertici dell’istituto a poco più del 2%) nonché, per cause autonome avanzate sempre presso il tribunale di Genova, da parte di piccoli azionisti e di soci risparmiatori. Il Gruppo Malacalza ha chiesto un danno di oltre 486 milioni, i piccoli azionisti circa 12 milioni e ancora da definire la quota dei soci piccoli risparmiatori. L’azione giudiziaria dovrebbe decollare in maggio e si dovrebbe andare alla sentenza in novembre. Previsioni non del tutto definite perché, per gli infiniti motivi che caratterizzano le cause di questo genere, i tempi si potrebbero allungare. La notizia della fissazioni delle date del dibattito presso il tribunale di Genova è emerse oggi, ma la situazione era nell’aria. E questo spiega la coltre di silenzio e di attesa che circondava l’istituto ligure da mesi, mentre emergevano le perdite messe insieme negli ultimi tempi e precisate nel bilancio.
Non solo: non bisogna dimenticare che presso la procura di Milano pende un procedimento a carico dell’ex ad di Carige, Paolo Fiorentino. Non sono noti, per ora, i tempi del procedimento, ma tutte le azioni giudiziarie – dirette e indirette – sono in qualche modo connesse. Al di là delle3 difficoltà generali della Carige, sorte ormai da quasi dieci anni, dopo le denunce a carico dell’ex presidente della banca, Giovanni Berneschi per irregolarità di gestione e che hanno dato vita a numerosi processi a Genova e ora spostati a Milano, il clou della vicenda in corso è frutto dello scontro tra il Gruppo Malacalza e la gestione della banca, con il “no” all’aumento di capitale che avrebbe comportato nuovi pesanti investimenti, oltre ai 486 milioni già investiti in azioni e che sono oggetto della richiesta di danni della causa in corso.
La guerra è dunque pesante e condiziona l’avvenire dell’istituto che difficilmente a tutt’oggi è collocabile sul mercato, anche se nelle scorse settimane sono state avanzate infinite possibilità che vedono la Carige coinvolta con le sorti della banca di Bari o del Monte dei Paschi di Siena. Molto difficilmente si farà avanti un potenziale acquirente sino a che la questione della richiesta di danni di Malacalza e dei piccoli azionisti non sarà risolta, perché, comunque vadano le cose è possibile (o prevedibile) un compromesso, altrimenti se la causa dovesse andare in Cassazione passerebbero troppi anni e l’istituto subirebbe troppe sofferenze. Né sembra possibile immaginare una banca “congelata” per anni, in un momento storico così complesso e in un clima di continui e repentini cambiamenti e mutamenti del marcato creditizio e finanziario.
Il dramma della Carige, sino al giro di boa degli anni Duemila ancora leader in Liguria, sembra non finire mai, ma, con il passare del tempo, la sua storia sarà da studiare e da scrivere, anche per capire chi ha sbagliato (in buona o in mala fede) e quali sono stati i passi falsi, dopo il crollo provocato dalla vicenda di Berneschi. Anche in questo caso non mancano zone d’ombra che coinvolgono accusati e accusatori. Siamo di fronte quindi a uno dei tanti “misteri all’italiana” dagli infiniti collegamenti e dalle occulte connessioni. C’è da augurarsi che l’orizzonte si chiarisca entro la fine dell’anno, magari con la scomparsa della pandemia.
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