Il terziario della Liguria in crisi per il coronavirus
di Paolo Lingua
Uno dei polastri dell’economia della Liguria è il settore marittimo-portuale, ma ha una importanza notevole, anche per la tradizione storica e l’assetto del territorio, tutto il cosiddetto settore “terziario” che va dal piccolo commercio, al turismo, ai servizi sino all’artigianato e all’agricoltura. La Liguria non ha avuto, soprattutto nei capoluoghi e e nei centri abitati, le serrata pesanti della cosiddetta “zona rossa”, ma non mancano rischi di modificazioni in peggio, soprattutto per quel che riguarda Genova dove potrebbero aggiungersi ulteriori prescrizioni. Molti danni all’economia del terziario ci sono già stati, con crisi, casse integrazione e addirittura perdita di posti di lavoro, ma ora la domanda inquietante riguarda la durata di questi blocchi economici, delle chiusure parziali o di serrate totali. Le associazioni di categoria e le Camere di Commercio non sono in grado (ma neppure il governo) di fare previsioni ma si teme che si possa andare avanti molti mesi, anche sino alla primavera.
A questo punto il danno potrebbe essere gravissimo e irreparabile con chiusure senza alternative, fallimenti, licenziamenti e crolli di una larga fascia di cittadini di tutte le età con reddito medio. Potrebbe essere alla fine la radiografia d’una regione in ginocchio per settori-chiave della sua ordinaria vita economica. Basta solo pensare alla questione di carattere generale che riguarda il turismo che in Liguria è ovviamente altissimo d’estate ma che, anche per chi viene dall’estero e per fasce di cittadini della terza età ha anche punte stagionali nelle altre stagioni. E il turismo trascina con sé una quantità di attività collaterali e complementari, alcune delle quali – bar, ristoranti, locali notturni e sale da ballo –anche di alto livello.
Proviamo a dare un’occhiata ai numeri che parlano da soli. In Liguria questo terziario che abbraccia tanti settori produttivi coinvolge ben 18.445 imprese con una occupazione diretta di 56.115 dipendenti. Ma occorre pensare che esiste un indotto che occupa diverse migliaia di persone. Il settore bar e ristoranti equivale a 6540 imprese con 26.851 addetti, il commercio 7055 imprese con oltre 17 mila occupati. Sono dati da sottolineare con la matita rossa. La loro indicazione è per il momento ancora fissa, ma basterà poco per arrivare a chiusure, tagli e licenziamenti. Le associazioni di categoria fanno notare che sin dal primo blocco dell’economia la scorsa primavera ci sono stati locali che addirittura hanno modificato il loro assetto interno, ridisegnando i loro spazi con spese non trascurabili.
Hanno subito le chiusure esattamente come chi non ha speso nulla e ha lasciato il proprio locale così com’era. Ovviamente ci sono pesanti effetti che s’intrecciano nel meccanismo degli orari di chiusura. Tanto è vero che le associazioni stanno mettendo a punto un progetto di comunicazione per indurre i cittadini a fare acquisti “sottocasa” con una forma di solidarietà territoriale che consenta un minimo di tenuta del giro degli affari. Gli effetti della crisi sono striscianti perché dal commercio e dai servizi è facile arrivare al piccolo artigianato, condizionato dalla crisi commerciale, nonché all’agricoltura, anche se in Liguria è una realtà più specifica e con prodotti più specifici (olio e vino, per esempio) di di tipo generale. I settori che hanno sofferto meno, a quanto pare, sono la logistica e alcuni aspetti del manifatturiero.
Ma questo non altera la situazione generale. Se la situazione attuale dovesse andare avanti per molti mesi, si rischia davvero la chiusura di migliaia di imprese e la perdita decine di migliaia di posti di lavoro. Un danno non facilmente sanabile e non facilmente recuperabile, anche se, con lo sperato arrivo del vaccino, fosse possibile una ripresa tra l’estate e l’autunno. Camminiamo su un sentiero irto di difficoltà e molto probabilmente le pezze di sussidio del governo non basteranno a sanare i danni che si stanno annunciando.
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