Il ricordo della Fiera che sparisce
di Paolo Lingua
Mentre molte attività e iniziative si fermano o rallentano, proseguono a Genova le demolizioni degli edifici di quella che è stata la Fiera Internazionale di Genova. Per tutto i genovesi, tra operatori e visitatori, che per oltre quarant’anni l’hanno visitata e frequentata non può che essere un motivo di malinconia. Nulla da dire sul progetto di Waterfront di Levante, frutto della matita prestigiosa di Renzo Piano e sul progetto connesso: avremo un canale che farà della zona della Foce una sorta di elegante penisola, si allargheranno gli spazi a terra e a mare per avere un grande approdo per le barche da turismo, anche quelle di grande stazza ed eleganza. Ma si parla anche di un centro residenziale di lusso, di un centro per gli studenti, mentre resteranno con nuovi ruoli e funzioni il Padiglione Blu e il ristrutturato Palazzetto dello Sport.
La zona, in futuro, ospiterà solo il Salone Nautico Internazionale (funzionale al Waterfront) e, con scansioni temporali più estese, l’Euroflora. Dall’anno scorso sono spariti dalla vista perché implacabilmente demoliti il palazzo della Nira (il cui pianterreno però ospitava dibattiti e incontri fieristici) e tutto lo spazio che era occupato dalla direzione della Fiera e dalla sede dell’Ucina, gli edifici da cui partivano le decisioni e dove si svolgevano conferenze stampa, incontri, vertici con la pubblica amministrazione o dove erano ricevuti ospiti illustri. Altri due grandi padiglioni saranno demoliti negli ultimi mesi. Tutto necessario, tutto deciso e, certamente, con precisi obiettivi legati al momento economico e ai cambiamenti di vita e di funzioni di aree pubbliche. Resta, senza annegare nella retorica, un pizzico di rimpianto e di nostalgia.
E’ vero, sempre per essere realisti, che il periodo d’oro delle Fiere è terminato ,m perché è cambiata l’economia e la società è diversa: basterebbe pensare alla più celebre delle strutture consimili, la Fiera di Milano, che da anni non ha di fatto più posto sui media e non attira più l’attenzione dell’opinione pubblica. E così per le altre grandi fiere italiane. Si trattava di iniziative promozionali e informative legate alla ricrescita economica del dopoguerra, il cosiddetto “boom”. A Genova l’iniziativa era decollata alla fine degli anni Cinquanta. Il primo presidente dell’ente, fu il professor Giuseppe De Andrè, padre del celebre cantautore, che era un uomo di cultura e al tempo stesso un manager affermato, esponente allora del Partito Repubblicano e vicesindaco dell’amministrazione di Vittorio Pertusio.
Fu De Andrè, sostenuto dal mondo politico di allora, a “pensare in grande” alla realizzazione della Fiera e a puntare su iniziative di livello che andava oltre il nazionale. I suoi successori seguirono quell’indirizzo andando in crescendo. Attorno alla Fiera nacquero molte altre iniziative, per non parlare di locali di intrattenimento, ristoranti e, persino, al moltiplicarsi degli alberghi che, non solo per il Salone Nautico, ospitavano migliaia di turisti. Forse, anzi certamente, le strutture architettoniche e i padiglioni della Fiera non erano il massimo della armonia estetica (era anche un difetto generale dell’epoca), ma muri , uffici, punti di incontro, con il passare degli anni facevano parte della memoria e delle vita di tutti. Erano una realtà familiare perché la Fiera impersonava e incarnava un aspetto peculiare della vita della città.
Negli anni di fulgore era chiusa sono d’estate, ma da settembre a giugno le iniziative – maggiori e minori – si intrecciavano. La decadenza iniziò dopo le Celebrazioni Colombiane del 1992 dalle quali la struttura fieristica era stata esclusa. Ma era ormai il segno – a livello nazionale – che un’epoca era passata. E’ giusto scommettere sugli anni a venire e lavorare per le scommesse del futuro. Resta comunque un pizzico di malinconia, soprattutto per i genovesi meno giovani, di fronte ai cumuli di rottami degli edifici che, in qualche modo (e quasi sempre positivamente) hanno segnato la storia della città e del territorio.
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