Il governo e la sinistra con il fiato grosso
di Paolo Lingua
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Il Punto di Paolo Lingua
Sono in molti –osservatori di mestiere e opinione pubblica – a chiedersi perché, anche al riscontro con i sondaggi, l’opposizione non “guadagna” terreno elettorale e favore sociale nei confronti d’una coalizione di governo che vive di contrasti, contraddizioni, confusioni e anche evidenti limiti di capacità amministrativa. Il fenomeno italiano è vistoso, ma anche nei paesi europei, soprattutto quelli che costituiscono la spina dorsale della cultura occidentale (Spagna, Francia, Gran Bretagna, Germania, Benelux) la situazione politica è oscillante.
I partiti tradizionali appaiono in crisi o in sofferenza, mentre si agitano e fanno opinione i movimenti sovranisti e populisti. Il discorso è complesso e nasce quasi certamente dalla crisi, ormai ultradecennale, dell’economia dell’Occidente, una volta leader nel mondo e ora in crescita minima e faticosa. Da questa condizione nascono tanti strani sentimenti collettivi e anche contraddittori che fanno perno su quella che molti esperti hanno definito: invidia sociale. Si sono strati sociali in discesa e che non riescono a mantenere una condizione generale come qualche lustro fa e di questo incolpano i ceti dirigenti della politica e della società, in particolare imprenditori e professionisti, invocando guerre politiche e azioni legislative contro presunti privilegi.
E questo spiega l’ azione dell’attuale governo che dell’invidia sociale ha fatto il perno dei suo successo. Ma quali sono gli empasse che bloccano la ricrescita della sinistra e, per altri aspetti, anche della destra moderata e liberale che gravita in area berlusconiana? Per questa seconda parte il discorso è complesso. L’area di centro post-liberale e post-democristiana si è frantumata in troppi rivoli e i leader (oscillando tra il centrodestra e il centrosinistra anche nelle amministrazioni locali) non hanno più elettorato di riferimento perché esiste di fatto una attrazione nei confronti della Lega di Salvini che appare vincente su tutti i fronti.
Più complessa l’analisi sulla sinistra. In primo luogo occorre rifarsi alle pesanti sconfitte di Matteo Renzi, dopo che, per un breve periodo, era apparso come l’ “homo novus” della politica italiana. Renzi aveva progetti decisamente moderni, ma, invece di mediare, soprattutto al momento del referendum costituzionale, tra tutti i partiti e all’interno del proprio, trasformò la prova elettorale in una potenziale affermazione sulla sua persona.
Gli effetti, dopo la batosta, si sono visti: sconfitte pesanti alle amministrative, alle politiche, scissioni e poi, più recentemente disgregazione della corrente di maggioranza. Per il Pd in particolare le scelte sono difficili. Spostarsi a destra comporterebbe nuove scissioni e non si aprirebbero al momento grosse possibilità di pescare voti e consensi nell’area di centro già resa esigua. Spostarsi a sinistra in maniera eccessiva non porterebbe a raccogliere granché dei voti dei fuoriusciti, ormai ridotti all’osso.
Ci sarebbe l’incognita dall’elettorato “grillino” che in buona parte è costituito da delusi del centrosinistra e del Pd. Sembrerebbe la tattica che ispira uno dei canditati alla nuova segreteria del partito, Nicola Zingaretti. Ma non è facile acquisire nel proprio programma certe scelte del M5s. A cominciare dal no e dalle ostilità espresse anche dalla parte più radicale del movimento nei confronti delle grandi opere pubbliche, da sempre sostenute dal Pd, dai sindacati e dal mondo imprenditoriale. Ma anche gli assurdi tagli alle pensioni urtano contro i ceti medi che avevano sostenuto in passato l’ala moderata del Pd. Per non parlare del confuso “reddito di cittadinanza” che la sinistra non legge come un rilancio dell’economia, bensì come una forma paternalistica che finirebbe per favorire chi lavora anche “in nero”, in particolare nelle regioni meridionali.
Salvo qualche manifestazione, l’intera area di centrosinistra, compresi i frammenti estremisti “duri e puri” che pure, come oggi ha ribadito Fratoianni a Genova, guardano preferibilmente a Zingaretti, appare divisa, confusa e in difficoltà. La perdita di potere sul territorio, il crollo del dialogo con le forze economiche, non riescono ad alimentare una riscossa. La crisi poi blocca di fatto l’ingresso di nuove forze e di individualità di forte personalità. Nonostante le falle del governo gialloverde, in alcuni casi clamorose, la sinistra non rialza la testa. E questo lascia tutta l’Italia, da un estremo all’altro dello schieramento, in una palude fangosa.
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