Il gioco a rimpiattino del "si" e del "no"
di Paolo Lingua
Sino all’inizio di questa estate tormentata dal coronavirus, il dibattito politico era concentrato sull’economia in crisi e sulla sanità, argomenti drammatici e travolgenti. Semmai si cominciava a pensare alle elezioni regionali e amministrative d’autunno. Un tema dimenticato nell’angolo del camino era certamente il referendum. Non suscitava entusiasmo e tutte le previsioni indicavano una vittoria del “si”, frutto del voto di pancia, con una maggioranza bulgara. Da meno di un mese invece, per una serie complessa di concause, il partito del “no”, con un taglio partitico obliquo, è cresciuto, anche se non è facile valutare di quanto.
Elites intellettuali (molte delle quali di sinistra) hanno cominciato ad arricciare il naso; sono usciti allo scoperto quasi tutti gli studiosi di diritto pubblico e di diritto costituzionale per mettere a fuoco i limiti d’una riforma limitata e tronca e che lascia scoperti troppi aspetti della vita politica e amministrativa. Poi sono sorti focolai del “no” un po’ in tutti i partiti. L’estrema sinistra, con il taglio dei parlamentari e con una possibile futura legge elettorale proporzionale con sbarramento al 5%, teme di sparire dal Parlamento, così pure come i piccoli partiti di centro (Bonino e In Europa, nonché i movimenti moderati come quelli di Lupi e di Casini). A favore del “Si” sembrano arroccati i grillini propositori e Fratelli d’Italia. Contrario Calenda, contrario di fatto anche Renzi anche se ufficialmente non vuole pronunciarsi. Decisamente per il “no” ormai Forza Italia con Berlusconi in testa.
Ma l’aspetto più interessante sul piano mediatico è il complesso gioco delle correnti – più o meno sotterranee – che stanno movimentando dall’interno la Lega e il Pd. Salvini ha detto, mantenendo una linea da sempre sostenuta, che voterà “si”, ma molti dei suoi dirigenti e luogotenenti non sembrano d’accordo. Alcuni hanno già detto che voteranno “no”. Lo stesso è accaduto nel Pd, un partito che è sempre stato contrario alla scelta populista del taglio dei parlamentari fine a se stesso, ma che poi ha votato a favore in Parlamento per consolidare l’accordo di governo con il M5s. Zingaretti punta frettolosamente alla legge elettorale da votare subito dopo le elezioni, ma nel partito c’è chi rema contro. Insomma, la situazione è confusa e sull’esito del voto conterà anche la partecipazione degli elettori.
La questione del referendum ha fatto segnare anche curiosità e novità in Liguria dove ci si accinge al voto regionale. I candidati presidenti come è noto sono dieci e, con qualche sorpresa, solo due hanno dichiarato d’essere favorevoli al “si” e ben sette hanno detto d’essere a favore del “no”: sul piano politico il taglio è singolarmente trasversale. Per il “si” si sono schierati Giovanni Toti, che guida la compagine di centrodestra e Alice Salvatore, che guida una lista di ex grillini dissidenti. Per il “no” si è schierato, a titolo personale, Ferruccio Sansa, candidato della coalizione di centrosinistra; Aristide Massardo (renziani, socialisti, gruppo Bonino); Giacomo Chiappori, dissidente della Lega; Marika Cassimatis (anche lei ex grillina); Gaetano Russo (Popolo della Famiglia); Carlo Carpi (Gruppo Radicale Adele Faccio); Davide Visigalli (Riconquistiamo l’Italia). Infine Riccardo Benetti (Ora rispetto per tutti gli animali) ha dichiarato di non voler rivelare come voterà al referendum. Molte posizioni per la verità erano prevedibile. Qualche stupore hanno invece suscitato i due candidati che , di fatto, sono i due contendenti più forti per la vittoria finale. Infatti Toti, che era un possibile “no” ha optato per il “si” (magari anche per distinguersi da Berlusconi?), ha dichiaro invece il suo “si” affermando che la legge sul taglio è un inizio utile per poi realizzare una più ampia riforma costituzionale. Ferruccio Sansa invece ha affermato di essere favorevole al taglio degli emolumenti dei parlamentari e non al taglio del numero di deputati e senatori. Come si può constatare non mancano mai le sorprese in un mondo politico agitato e non facilmente riconducibile negli schemi ai quali siamo storicamente abituati. Il che rende le previsioni della vigilia sempre più difficili da focalizzare.
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