Il “dream” di Draghi: turismo e riaperture
di Paolo Lingua
L’intervento del Presidente del Consiglio Mario Draghi sulle speranze e sull’impegno per il rilancio della stagione turistica è calato sull’Italia con un vigore e con un ottimismo non sempre peculiari del personaggio, quasi sempre attento, tecnico e prudente nelle sue esternazioni. Draghi, con una nota al di sopra delle sue abituali esternazioni, ha comunicato ottimismo e una punta di entusiasmo. Si è fatto prendere, sia pure con misura, da una ventata di ottimismo sul prossimo calo della pandemia, ma ha anche fatto capire di essere preoccupato d’una mancata ripresa del turismo. Non c’è bisogno d’essere un genio dell’economia per capire che il turismo è una voce eminente dell’economia italiana, è una fonte di ricchezza e di “giro” del cash di cui abbiamo un fondamentale bisogno per la ripresa produttiva e occupazionale.
Il turismo non è solo il giro di liquidità immediata che viene da alberghi, pensioni, ristoranti, pizzerie, bar e locali di ritrovo, ma vuol dire acquisti di generi alimentari, impiego di servizi e, soprattutto, fonte di posti di lavoro. Le connessioni sono infinite perché sono collegate anche alla vita di musei, centri di cultura e di spettacolo. Negli ultimi due anni l’Italia ha subito un danno, in termini di mancati introiti, di centinaia di miliardi, se pensiamo anche al blocco dei passeggeri sui treni, sugli aerei, sui traghetti e sulle navi da crociera. Forse un calcolo completo delle perdite non è neppure possibile sul piano materiale. Di qui la volontà di spinta di Draghi e d’un messaggio non solo diretto ma anche subliminale da far ricadere in Italia, ma anche da diffondere a livello internazionale. Restano gli ostacoli: il primo è legato alla pandemia di cui si spetra un calo più netto nelle prossime due settimane.
Il secondo, in un mare di proposte e controproposte, è strettamente collegato alla disciplina in corso delle aperture e delle chiusure dei locali pubblici. Proprio oggi un documento della Confesercenti della Liguria ribadiva che è attualmente in corso una disparità pesante di trattamento. Infatti lavorano soltanto i locali (bar e ristoranti) che possono in qualche modo disporre di un dehor. Per gli altri non resta che una inesorabile chiusura. Ma questo significa, di fatto, una disparità di trattamento, in giusta e al limite persino illegittima, perché chi, per collocazione logistica, non dispone di alcuno spazio è pesantemente danneggiato e costretto alla chiusura di fatto.
Per non parlare della complessa disciplina dei bar che non possono servire il caffè al banco ma debbono obbligare comunque i clienti all’asporto esterno. In parole povere, in Liguria (ma anche nel resto dell’Italia) più di metà dei locali non possono lavorare. Ma non basta: il limite di movimento alle 22 blocca di fatto (o riduce al minimo) l’attività dei ristoranti per i servizi serali. I problemi meteorologici e i limiti di presenza rendono in particolare i ristoranti quasi vuoti la sera. Il che vuol dire: sempre più spese e sempre meno guadagni. E allora? Sempre prendendo spunto sull’entusiasmo speranzoso di Draghi si attende la fine della prossima settimana per capire se, con il calo dei contagi, si potranno avere dal governo, in accordo con le regioni che sull’argomento stanno spingendo, una disciplina meno severa e, per certi aspetti, meno assurda o, come la definisce il presidente della regione Liguria Giovanni Toti, “falsa ripartenza”. La speranza è un allargamento degli spazi serali (minimo alle 23 e se possibile alle 24) e la possibilità di disporre dell’interno dei locali. Questo sarebbe il vero obiettivo da raggiungere per una vita normale, sia pure con tutti i controlli, le distanze e i limiti possibili. Conto alla rovescia per i prossimi dieci giorni.
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