Il coronavirus copre e blocca le possibili crisi politiche

di Paolo Lingua

3 min, 34 sec
Il coronavirus copre e blocca le possibili crisi politiche

Questa preoccupante “fase 2”, forse non prevista così diffusa, del coronavirus ha modificato tanti aspetti della vita reale, dai comportamenti pratici e abituali dei cittadini, ma creando complesse problematiche di carattere economico e sociale di cui non è possibile ancora valutare rischi e danni. Forse, solo dopo l’arrivo e l’applicazione alla popolazione dei vaccini sarà possibile effettuare concrete valutazioni. Per il momento, non resta che aggrapparci ai finanziamenti europei, alle politiche dei “ristori”, ai tagli di tasse e imposte e ai tentativi di frenare licenziamenti. Si lavora, anche disperatamente, di “freno e di frizione”, modificando i provvedimenti a volte di settimana in settimana, con infiniti ritocchi, con continui “aggiustamenti” nei rapporti tra lo Stato e le Regioni, anche perché l’Italia non è una realtà omogenea, non solo semplificabile con le differenza tra Nord e Sud, ma con infiniti distinguo che vanno ben oltre la collocazione geografica.

Ma dietro a questo complesso (e a volte confuso e contraddittorio) contesto (ma anche altri Paesi europei non navigano meglio), emergono di giorno in giorno altri aspetti della vita politica che non possono trasformarsi in contrasti se non in scontri duri, proprio a causa della situazione di pandemia. Ma sono realtà da non sottovalutare perché un ritorno alla normalità, magari nel giro di un anno, potrebbe farle riemergere in tutta la loro gravità. Che cosa si capisce di tutto quello che sta sotto il vulcano in eruzione del coronavirus? C’è in primo luogo una sostanziale fragilità del presidente del consiglio, Giuseppe Conte. E’ stato scelto come premier, estraneo alla politica professionale, dal M5s quando era stretto alleato della Lega di Salvini. Poi c’è stata l’uscita della Lega e l’arrivo del Pd, di Italia Viva e di Leu. Tutti partiti con cui Conte non è identificato né identificabile, mentre però il M5s in pochi mesi è cambiato: diviso un correnti, con leadership interne modificate e con oscillazioni non sempre comprensibili e, in ogni momento, alla vigilia di spaccature interne. Fin troppo chiaro che Conte cerca uno spazio autonomo, ma non ha né partito personale, né organizzazione alle spalle.

I due partiti maggiori della coalizione di governo, il Pd e il M5s, hanno una storia, neppure troppo remota di profonde differenze e di contrasti. Non facili da sintetizzare: un esempio, il più  vistoso, è l’atteggiamento verso il Mes, un finanziamento europeo a basso interesse che per l’ Italia, proprio in questo frangente di crisi della sanità, sarebbe prezioso. Il Pd – e anche i renziani – sono favorevoli. I grillini sono sul no, duro, preconcetto e ideologico. Ma anche sull’economia, sulla politica finanziaria, sulle strategie di ripresa, sull’ immigrazione, solo per fare gli esempi più vistosi, ci sono distinguo, differenze e posizioni opposte. Basta pensare alla possibilità di impiegare i finanziamenti del Recovery Fund  per far riprendere e far decollare grandi opere pubbliche, in particolare strade, ferrovie e servizi. Il Pd è nettamente favorevole, mentre il M5s frena. Basterebbe, solo per fare una citazione che riguarda la Liguria, l’opposizione, palese e sotterranea, alla realizzazione della Gronda, il cui progetto è in frigorifero da più di vent’anni.

Certo: ci sono anche tanti elementi complessi che aleggiano sulla situazione politica italiana. A cominciare dalla riforma incompleta e di fatto più dannosa che utile del taglio del parlamentari; per passare alle strategie sotterranee per l’elezione del Presidente della Repubblica. Infine, in parte per il taglio dei parlamentari, in parte per la forte variante di voti che emergono dai sondaggi (sempre da prendere con la dovuta prudenza), una crisi nazionale, anche collocata al termine della diffusione del contagio, non entusiasma nessuno dei partiti governativi: ci sarebbero crolli pesanti delle attuali percentuali in Parlamento e quasi certamente un cambio di leadership, anche se il centrodestra non è privo di variabili e di omogeneità dei rapporti. Resta indubbio che qualcosa, finita la pandemia, potrebbe cambiare, in un clima di modificazioni sociali e di assetti economici. Come sempre in Italia il fuoco cova sotto la cenere.