Il commento: le ambizioni di Silvia Salis & i due scudieri della Ditta
di Gilberto Volpara
“Decido io”. L’ha detto non più tardi di una settimana fa da Montoggio, Silvia Salis. Ai microfoni di Telenord ha ribadito il suo piglio sotto l’insegna della piazza intitolata dalla comunità valligiana a Giacomo Matteotti.
Ecco, sulla libertà d’azione non si discute: la sindaca non è una che accetta interferenze, esterne o interne.
Tuttavia, le due precedenti vite – da atleta e dirigente sportiva – hanno fatto comprendere a Silvia Salis che soli non si vince. Tanto nello sport quanto in politica, dove ha avuto il merito d’allargare gli orizzonti nel solco del vecchio insegnamento di don Gallo a Burlando (“Claudio prendi tutti”), oltre all’intera squadra, serve scegliersi stretti collaboratori o collaboratrici.
Succede così che lei, un po’ per volontà personale, un po’ per naturali logiche partitiche - il Pd resta azionista di riferimento delle sue maggioranze comunali e metropolitane – abbia scelto due scudieri della vecchia scuola nonostante la giovane età anagrafica.
Rispondono ai nomi di Alessandro Terrile, 22 novembre 1979, e Simone Franceschi, 29 febbraio 1976. Entrambi democratici, con una profonda conoscenza delle dinamiche del Partito. Il primo ne è stato, anche, segretario genovese. Uniti dalla competenza amministrativa, avvocato l’uno, sindaco da 20 anni l’altro, incarnano due differenti declinazioni della cosa pubblica in rosso: più avvocato burocrate, il numero due di Tursi, tipicamente operativo sui cantieri, il primo cittadino di Vobbia.
Tanto a livello comunale quanto sull’ex Provincia, per dirla alla genovese, ai due spettano ‘una cuffa’ di deleghe decisive. Bilancio e società partecipate, sviluppo economico sostenibile, economia del mare, rapporti tra porto e città per Terrile. Viabilità, mobilità e trasporto pubblico locale, personale, organizzazione e servizi informativi per Franceschi. A sufficienza per decretare il funzionamento dell’ente.
Si dirà, accade sempre così per i vice. È il loro destino. In realtà, no. Certo, Pietro Piciocchi è stato l’uomo forte di Marco Bucci durante i due mandati di via Garibaldi, anch’egli con pesanti responsabilità, ma non aveva un partito alle spalle. In questo caso, appunto, il modello è differente e non solo per l’intuito della protagonista.
La formula auspica di rifarsi alle esperienze di Claudio Montaldo con Beppe Pericu dove il plenipotenziario della Ditta sgobba e controlla il fortino. Ovvio, facendo leva sulla conoscenza della materia. E, in questo caso, senza eccedere: “Perché decido io”.
Fa parte del regolamento tutto il resto: ruolo da psicologo, stratega e incassatore di lagnanze del numero uno. Proprio come l’allenatore in seconda nello sport.
Se intorno a Silvia Salis si è costruita una irrilevante letteratura cittadina da corridoi istituzionali su chi, nella Ditta genovese o nel Cerchio Magico fiorentino, potesse ambire al marchio della sua scoperta politica, con la sindaca che in modo netto ha fatto intendere di non avere scopritori, ora, giunge una sua consapevolezza: sebbene connotata da un profilo già nazionale, parte del futuro amministrativo della prima cittadina è nelle mani dei due vice e delle loro ‘cuffe’ di deleghe.
Uniti dal pesante lavoro poco appariscente e dai minimi sorrisi, specie sul fronte d’entroterra. Per quelli, ripassare da Sanna, D’Angelo e Renzi.
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