Genoa, Prandelli in esclusiva a Telenord: "I nostri tifosi devono sognare"
di Redazione
17 min, 33 sec
Il tecnico a We are Genoa: "Quello di Genova è il vero derby, non vedo l'ora di vincerlo"
Dalla vittoria con la Juve al derby con la Samp. "È quello vero in Italia, non vedo l'ora di giocarlo e di vincerlo". Fino al futuro, fatto di obiettivi importanti, perché "i tifosi non devono smettere di sognare". E una promessa tra le righe: sono qui per restarci. Cesare Prandelli si racconta a 360 gradi in un'intervista esclusiva rilasciata a Telenord. A 'We Are Genoa' una lunga chiacchierata con Pinuccio Brenzini e Claudio Onofri, in cui il tecnico rossoblù ha risposto con la sua solita pacatezza e cordialità, toccando tanti temi, di calcio e non solo, e togliendosi però anche qualche sassolino. Un gustoso regalo che Telenord offre ai suoi telespettatori e che ha impreziosito una settimana già fantastica dopo la strepitosa vittoria di domenica contro la Juventus.
Una vittoria, quella di domenica, che ha sicuramente tolto un bel po' d'ansia dopo i risultati del sabato ma adesso non bisogna pensare che sia tutto fatto. Però si potrà giocare con maggiore serenità. "Non è stato fatto ancora nulla - ha risposto Prandelli - ma se tu lavori con la serenità di poter fare partite in un certo modo, aiuti tutti, non solo la squadra ma anche tutto l'ambiente a vedere le aspettative in modo diverso. Dobbiamo però riconfermarci. La quota salvezza? Io mi auguro di arrivare presto a 40 punti poi sarà quel che sarà. Ma la cosa bella di domenica è che la squadra, per la prima volta, ha tenuto un assetto equilibrato per tutta la partita".
C’è anche il rovescio della medaglia: la tranquillità fa bene ma non deve essere un peso. E’ ancora tutto in divenire. "E’ così, noi ora abbiamo creato un clima sereno ma dobbiamo lavorare con grande determinazione anche nelle prossime partite. Se tu hai questa base, puoi davvero lavorare bene".
L’organizzazione difensiva c’era stata anche nelle partite precedenti ma forse era mancata la qualità del gioco.
"Questa può essere l’evoluzione perché se hai un buon assetto e gli avversari ti danno spazio e tempo, allora puoi sviluppare le tue azioni - ha commentato il tecnico - Quando non c’è spazio e tempo, allora devono uscire le qualità del singolo. Io sono ancora arrabbiato dopo 15 giorni per la sconfitta contro il Parma. Non puoi non vincerla, una partita così. Hai il predominio sul campo, hai fatto 20 cross ed eravamo in cinque in area una sola volta. Quello che chiedo è il coraggio, che non vuol dire fare le capriole ma andare a cercare la fortuna che abita in area di rigore".
Anche col Frosinone, nel secondo tempo, il Genoa ha fatto un giro palla veloce ma è mancato proprio questo coraggio. "Soprattutto è mancato l’attacco del primo palo, anche il giocatore che va sul primo palo magari fuori tempo, porta via un avversario e quando dici che devi attaccare l’area con più giocatori è questo che devi fare".
Ma è una cosa che si può insegnare agli attaccanti e ai centrocampisti? "L’insegnamento è cosa che mi affascina ma ci vuole tempo - ha ribadito Prandelli - Io avevo Gilardino che aveva questa grande capacità di arrivare sempre prima sulla palla, altri giocatori no. Ma a volte il tempo e il lavoro quotidiano ti permette di far crescere il giocatore".
Capitolo centrocampo con Radovanovic: sembrava un giocatore non in grado di guidare la squadra e invece domenica... "L’ambientamento è sempre un problema per tutti i giocatori. Tanti anni fa arrivò in Italia un certo Michel Platini e per ambientarsi ci mise qualcosa come sei mesi. Arrivi, sei un giocatore nuovo, con caratteristiche diverse, cambia l’alimentazione, l’ambiente e poi devi capire cosa vuole la squadra. La cosa importante è che Radovanovic sia un riferimento in campo ma capisca anche che si può muovere da quella posizione e può anche verticalizzare. Che è poi quello per cui noi l’abbiamo preso".
La definizione che in molti danni del tecnico di Orzinuovi è quella di "un tecnico professionale e dai modi gentili". Definizione che piace molto anche a lui. "Mi ci ritrovo - spiega - È il mio modo di essere perché più abbassi i toni e più incidi. Se invece li alzi, finisce che i decibel arrivano al massimo. Tutte le volte che io vado fuori dai miei limiti, è sempre una ferita per me perché vuol dire che da un punto di vista umano si sta sbagliando qualcosa. I calciatori sono dei professionisti pagati e tutti siamo qui a loro disposizione per farli crescere e secondo me non hanno bisogno tutti i giorni di sentirsi dire cosa devono fare. Devono solo farle perché è la serietà umana che ti spinge a farle. Chiaro poi che noi siamo vigili, siamo pronti a stimolarli e a correggerli nel caso. Io mantengo sempre un tono basso. Chiaro poi che quel giorno che picchio, ricevo in cambio una grande attenzione".
E pensare che giocatori con cui scontrarsi, specialmente in Nazionale, ne ha avuti tanti: pensiamo ad esempio a Balotelli… "Ognuno ha la propria personalità, il proprio carattere. Non puoi pensare che la tua gestione sia solo rivolta alla squadra ma devi capire la personalità di certi giocatori. Posso fare anche dei nomi: Pedro Pereira ad esempio per me è un giocatore importante e lo sta dimostrando ma quindici giorni fa l’ho preso e l’ho scosso, ma proprio fisicamente, e gli ho detto “Dipende da te in questo momento. Sei un ragazzo timido, introverso, per bene e talvolta certe aspettative soffocano la crescita” quindi devi capire con quali giocatori poter alzare la voce e con quali invece abbassarla e renderli responsabili di quello che stanno facendo. Se sia psicologia? Non lo so ma è il lavoro che faccio da tanti anni. E’ anche bello capire i risvolti della mente umana ma soprattutto capire dove lavori e cosa vogliono i tuoi tifosi. Questa è la cosa che non possiamo mai sbagliare. Se non sbagli questo, allora ti si può perdonare qualunque cosa".
Una frase che ha colpito molto i tifosi rossoblù è che "Qui a Genova non si tifa per le big ma solo per il Genoa": "E’ quello che ho percepito qua, in quest'ambiente. Dai magazzinieri, dalle donne che aiutano, dai fisioterapisti… ho percepito un amore per questa maglia. In altri ambienti senti chiedere “Cos’ha fatto la Juve, cos’ha fatto il Milan...”. Qui no, qui vivono per il Genoa quindi è una cosa importante, un tesoro che dobbiamo sfruttare. Tante volte dico che io non sono solo ma siamo tutti coinvolti, se vinciamo o perdiamo".
E sul valore dello stadio Ferraris: "L’ho detto forse nella mia prima conferenza stampa - ricorda Prandelli - Ero venuto qui col Verona o col Venezia, ora non ricordo. Vincevamo 2-0 ma c’era il pubblico che rumoreggiava. Noi avevamo un netto predominio territoriale ma la squadra in campo era sfasata. Quella partita, alla fine, l’abbiamo pareggiata ma l’ha pareggiata il pubblico. Io ho sempre avuto grande timore di questo stadio. E’ sempre stato qualcosa di straordinario. C’è anche il rovescio della medaglia perché ci sono anche grandi aspettative ma tu devi avere la personalità di reggere anche qualche fischio, qualche mugugno. Non devi aver paura. Ti perdonano anche subito l’errore ma devi avere grande forza interiore".
Anche un po' di "lavagna tattica": col Galatasary in una sola occasione Prandelli ha schierato la squadra col 3-5-1-1 poi, in Nazionale, contro la Spagna ha optato per il 3-4-2-1. Ma qual è la filosofia di Prandelli: mettere in campo i giocatori per le loro caratteristiche o partendo da un preciso modulo di riferimento? "Diciamo che io parto dal presupposto di disegnare un sistema di gioco in base ai giocatori che ho a disposizione. Qui, arrivando e dovendo far subito giocare la squadra, sto facendo una ricerca ma non puoi avere il tempo per farlo perché hai bisogno di far punti. Quindi ho privilegiato l’esigenza di dare un certo equilibrio. In Nazionale, contro la Spagna, vedendo che poche squadra l'avevano messa in difficoltà, abbiamo deciso di provare a sorprenderli andando ad aggredire molto alti i loro terzini. Poi è chiaro che il calcio è sempre in evoluzione ma la mia filosofia è quella di cercare di disegnare la squadra in base ai giocatori che ho e alle loro caratteristiche. Ma se io ho i due esterni molto bravi che hanno l’uno contro uno, sempre il 4-3-3 o il 4-2-3-1, se ho una mezza punta con abilità tecnica di trovarti il passaggio per le punte, allora puoi pensare a un rombo. Se invece hai un centrocampo molto solido, di sostanza, allora devi trovare due esterni che spingono".
Prandelli ha poi parlato dell'evoluzione tattica che vorrebbe da Biraschi: bene con la difesa a 3, meno bene a 4. Ma lui ha le caratteristiche per farlo secondo il tecnico rossoblù. "Ne sono convinto - ha ribadito - E io l’ho proposto. A volte secondo me è solo la difficoltà di accettare la novità, quando per tanto tempo hai giocato in un certo modo. Poi è chiaro che quando vai a disegnare la squadra, puoi penalizzarei un giocatore o due perché io ho il riferimento della squadra. Biraschi lavora bene ma io ho la responsabilità della squadra e lui deve solo convincersi che deve fare anche altri ruoli".
Come giocatore, Prandelli ha collezionato un buon bagaglio di trofei, giocando solo in tre squadre, Cremonese, Atalanta e Juventus. Ma qual è il ricordo più forte della sua carriera? "Sono tanti, potremmo star qui per delle ore. Ci sono tanti aneddoti ma io ho avuto la fortuna di crescere in un ambiente familiare come Cremona e, a quel tempo, c’era una vera sinergia fra queste tre società, quindi la strada era quella: Cremona-Bergamo-Torino. A Bergamo ho trovato straordinarie famiglie come la famiglia Bortolotti che ha dato anche un senso morale alle cose che faceva mentre a Torino ho trovato il presidente Boniperti, che per me è stato il più grande dirigente di tutti i tempi. L’unico a capire quando era finito il suo tempo, quando sono arrivati i procuratori. Lui era abituato a far firmare a tutti i contratti in trenta secondi e quando ha capito che non poteva più agire com’era abituato, ha fatto un passo indietro. Tante volte, arrivavi e non ti faceva discutere ma ti mostrava solo un calzettone bucato o una maglia bucata ed era finita lì. Anche perché a Torino, l’unica cosa che conta è la vittoria, ieri come oggi".
A Genova invece c’è l’orgoglio di essere la prima squadra d’Italia, una squadra però che non vince da tempo. "Il Genoa non vince ma non bisogna mai smettere di sognare. I tifosi hanno storia, blasone e cultura e devono continuare a sognare. Basta vincere una Coppa Italia ma quando sogni devi pensare in grande, per quello che poi diventa difficile mantenere le aspettative di questo stadio, che ti mette nelle condizioni di non sbagliare mai. I tifosi devono sognare, così come dobbiamo farlo noi e io lo dico anche ai miei giocatori: “Devi sognare senza limiti” perché comunque il calcio è un gioco e il sogno appartiene al gioco. Quando giochi pensi sempre di poter arrivare. Vincere è una cosa difficile ma provare a vincere è una cosa possibile".
Tornare in Italia è stata sfida importante. Ma com'è riuscito il presidente Preziosi a convincerlo? "Un po’ tutto mi ha convinto - ammette Prandelli - dal presidente, all’ambiente fino alle difficoltà ma anche una sfida professionale straordinaria, fatta in una città dove il calcio lo respiri. Qui c’è una pressione che a me piace. Appena sono arrivato, mi parlavano di derby e ho detto “Ok, sono arrivato nel posto giusto”.
Al suo arrivo qualcuno avrebbe potuto anche pensare che il tecnico veniva qui "a svernare" e invece si è visto subito che è arrivato per aprire anche un ciclo: "Per poter sognare tutti" conferma lui.
Una delle maggiori critiche alla società è che vendendo così tanto, impedisce ai tifosi di sognare. "Bisogna sognare - insiste Prandelli - Il presidente mi ripete che faremo cose importanti, programmando qualcosa di importante e io finché non ho una smentita continuo a pensare questo. E’ il suo modo per continuare a dimostrare che ha voglia di fare qualcosa di straordinario per questi tifosi. E’ una persona combattiva. Ci sentiamo spesso, tutte le settimane ed è venuto spesso qui. Quando arriva, vuol dire che è coinvolto in un percorso fatto assieme. Poi è un presidente che vive anche lui sul risultato, che ti permette di affrontare i problemi con una certa visuale. Se le affronti con le sconfitte, invece, diventa tutto complicato perché c’è poco tempo".
Sono tante le squadre in cui Prandelli ha lasciato il segno, una in particolare la Fiorentina in un periodo che, qui a Genova, in molti ricordano ancora bene. "Molti tifosi mi fermano ancora per strada e mi ricordano quel 3-3 al Ferraris ma io rispondo che non è colpa mia se si sono arroccati. Ma quelle erano due squadre che avrebbero meritato entrambe, perché giocavano bene ed erano veramente forti e ricche di individualità. Siamo andati noi in Champions ma l’avrebbe meritato anche il Genoa, che stava benissimo in campo".
Uno dei giovani più interessanti di questo Genoa è sicuramente Romero. "Io un ragazzo di 20 anni con queste qualità non l’ho mai allenato - ammette Prandelli - Ha bisogno di un giocatore esperto vicino che lo aiuti a capire i tempi e le situazioni. Poi giocare a 3 o a 4 è un falso problema, se un giocatore è limitato a giocare solo in un modo, non va bene. Romero è un giocatore che può giocare senza problemi a 3 come a 4. Ha capacità di recupero e prestanza fisica, deve migliorare l ‘assetto tecnico, deve velocizzare l’azione, deve imparare a cambiare gioco ma la base è straordinaria".
L'arrivo sulla panchina della Nazionale: un punto d’arrivo o un passaggio della carriera? "Più che altro l’ho sentito come un dovere, né come un punto d'arrivo né come una partenza. Quando Abete mi chiamò, io risposi. Io nasco da una generazione che ci facevano alzare quando suonava l’inno e calcisticamente mai avrei pensato di andare a fare il ct. Però quando il presidente federale ti chiama... io ho detto di sì senza porre condizioni".
Poi una carriera che lo porta fuori dall'Italia, a scoprire le mille differenze col calcio italiano. "In Turchia il calcio è sentito talmente in maniera quasi violenta che è un po’ un problema sociale. Quell’anno poi c'erano pochissimi tifosi perché volevano riorganizzare ma non ci sono riusciti. In Spagna invece è una mentalità completamente diversa: arrivi senza scorta, hanno grande rispetto delle persone, degli avversari, al massimo c’è uno che ti fa un gestaccio ma finisce lì. E poi vogliono godersi lo spettacolo: giochi bene ti applaudono, giochi male ti sventolano il fazzolettino e ti contestano ma è una mentalità completamente diversa. I nostri ragazzi tornano a casa dopo la partita e i genitori chiedono loro se hanno vinto o perso. Ma non possiamo pensare di cambiare la nostra mentalità, alla fine dobbiamo essere noi stessi. Poi è chiaro che il calcio è in evoluzione: puoi vincere anche giocando bene ma sono culture completamente diverse".
Una volta, rispondendo alla domanda di un giornalista, Prandelli toccò anche il tema tabù dell'omosessualità nello sport: "Quando sei il ct della Nazionale, ti trovi di fronte giornalisti che arrivano anche dal mondo della cultura e non solo dal calcio. Sei lì e a domanda rispondi. Da persona, non da ct. Da uomo che affronta i problemi che tutti affrontano, quindi ho detto quello che pensavo".
Al Galatasaray, Prandelli ha anche allenato Gumus, giocatore accostato proprio in questi giorni al Genoa per l'anno prossimo. "Era un ragazzino che ho allenato, arrivava dall’accademia tedesca, serio, applicato, con buone qualità, buona corsa e un buon mancino. Non l'ho seguito molto negli ultimi tempi ma l’ho allenato. Molto serio e professionale".
Prandelli all'estero è mancato molto al calcio italiano. Cosa lo ha spinto a partire? "L’unica richiesta che ho avuto, ho stretto la mano al presidente e poi non l’ha mantenuta quindi ho preso la valigia e me ne sono andato. Perché avevo voglia di fare il mio lavoro, tutto lì".
Quello dell'allenatore è un mestiere ben pagato, bellissimo però per chi non sopporta la tensione è un mestiere che non si può fare. "E’ un pensiero che a volte arriva, ma devi scacciarlo subito. Chi ha fatto tanti anni il settore giovanile inizia perché vuol fare un certo tipo di lavoro sul campo, poi sai benissimo qual è il tuo ruolo: le panchine scottano sempre, i risultati sono sempre in equilibrio sugli episodi ma se trovi le persone giuste allora puoi fare il tuo lavoro senza troppo stress. Ultimamente lo stress è diventato quasi insopportabile se vuoi essere coinvolto. Io fortunatamente tengo un po’ le distanze. Mi piace leggere i giornali e le notizie ma solo un giorno dopo perché subito hai una reazione di pancia e ti vengono dei pensieri strani, invece se lo leggi un po’ dopo, ma non con distacco, perché le critiche costruttive sono sempre ben accettate e tante volte ti danno uno stimolo in più. Io non ho mai fatto battaglie personali ma solo discussioni sulle situazioni che si vedono. Ogni parere va rispettato, poi tu devi rispondere in base a quello che pensi e che vedi".
Tornando al Genoa, questa squadra sta lavorando per il futuro: va stravolta o modificata per ambire a lottare per l’Europa? "La cosa più importante nella partita di domenica è che avevamo 6/7 giocatori Under 23. Abbiamo la base ma prima di pensare a cosa faremo, io vorrei spostare questa domanda fra qualche mese, perché dopo questa grande vittoria dobbiamo festeggiare, ma dobbiamo subito tornare arrabbiati come prima della Juventus, mantenere questa determinazione. Vinciamo qualche partita e poi pensiamo al futuro".
Ma mister Prandelli che impressione ha di Genova? E' una città in cui lui potrebbe "specchiarsi"? "L’ho sempre percepita come città particolare da conoscere. Sembrano chiusi i genovesi ma se entri in sintonia sono aperti e generosi. Il mio maestro a Coverciano, Franco Ferrari, è genoano e lui mi ha sempre detto che i genoani sono così: “Devi aspettare qualche tempo per dare giudizi. Però sono persone che poi non tradiscono e sanno amare come pochi” e poi c'è una frase straordinaria di Bagnoli che mi ha colpito. Lui ha una figlia non vedente e lei diceva sempre “Provo sempre un'emozione quando vado in uno stadio e sento i rumori, ma l’emozione che ho provato a Genova non l’ho mai provata in nessun altro stadio” e io ho riflettuto. Pensa questa ragazza che sensibilità deve avere e difatti gliel’ho ricordato e me lo ha confermato, dicendomi anche che se fosse rimasto a Genova, avrebbe vinto lo scudetto: “Non dovevo andar via e avrei vinto lo scudetto col Genoa" mi raccontò".
Il mondo del calcio è un mondo che può dare amici veri? "Gli amici veri sono quelli che frequenti di più e con cui hai vissuto la tua adolescenza, i miei sono ancora quelli lì. Appena posso stacco, loro sanno che se perdo la domenica non mi devono chiamare per due giorni e che la pizza la rimandiamo alla domenica dopo. Poi nel tempo conosci anche altre persone, che diventano i nuovi amici che possono diventare importanti come quelli nati nell’adolescenza. A livello professionale ci sono molte persone che stimo, che apprezzo davvero ma le amicizie vere sono un'altra cosa, perché l'amicizia vera è una cosa che va al di là dello stesso tipo di lavoro che fai. Il mio più grande amico è Antonio Cabrini, perché siamo cresciuti assieme a Cremona dai 14 anni, abbiamo fatte tante cose assieme, le famiglie si sono frequentate e tuttora siamo amici. Ci sentiamo poco ma il giorno che ci sentiamo è come se fosse stato ieri".
Oggi è la festa del papà: cosa significa avere un figlio che lavora nel tuo stesso ambito? "Ogni tanto ho voglia anche di togliermi qualche sassolino… - commenta sorridendo il tecnico - Ero ct, facevamo gli Europei e avvisai la Federazione che volevo allargare i miei collaboratori. Chiamo e dico che avrei voluto mettere Nicolò, ma non perché era mio figlio ma perché aveva certe qualità. Mi son subito trovato sul giornale “Prandelli porta il figlio in Nazionale”, senza informarsi che professionalità avesse. Vedo che negli anni a seguire molti hanno seguito questo mio esempio e sono convinto che tutti l’abbiano fatto con la mia stessa intenzione e serietà. Ora lui lavora per il Bologna, prima ha lavorato per il Parma e non penso di portarlo a lavorare con me. Proprio perché lui si sente giustamente capace e bravo e deve fare la sua strada".
L'ultima domanda non poteva che riguardare il finale di campionato e, inevitabilmente, il prossimo derby. "Devo dire che ogni volta che si parla di derby, mi cresce qualcosa dentro. Non so se è ansia ma cerco di pensare all’Udinese... Però incontro famiglie per strada che mi chiedono una fotografia, dicendomi “Falla con me perché mia moglie è sampdoriana, non farla con lei”. Secondo me questo è l’unico derby vero d’Italia, per come lo intendo io almeno. C’è grande attaccamento, grande voglia di vincere ma è un derby di casa, di famiglia ed è una cosa straordinaria questa. Non vedo l’ora di essere lì e non vedo l’ora di vincerlo, naturalmente".
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