Ferrero, una provocazione non casuale. Di Silvio, ora i fatti. Lanna e Stankovic, la speranza

di Claudio Mangini

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 Ferrero, una provocazione non casuale. Di Silvio, ora i fatti. Lanna e Stankovic, la speranza

Annichiliti ed esterrefatti. Due aggettivi per definire lo stato d’animo dei vertici dello staff dirigenziale della Sampdoria quando, lunedì sera nella tribuna del Ferraris, si sono trovati accanto Massimo Ferrero. Due aggettivi (filtrati dall’interno dello staff) pesanti e quadrati come mattoni, che non spiegano sfumature ma stati d’animo netti e drastici. Massimo Ferrero, con quella specie d’incursione corsara, senza preavviso né al Comitato d’emergenza che guida la Sampdoria né alla Digos, ha rischiato di far saltare il tappo a Lanna & C., che hanno tra le mani la patata bollente. E che hanno preso in considerazione le dimissioni. Una mossa non prevista, appunto non annunciata, quella di Ferrero, per la quale è stato speso unanimemente, da tifosi inferociti e addetti ai lavori, un altro aggettivo: provocatoria. Ma, si badi bene, non una guasconata, non una sortita casuale e istintiva. La domanda d’obbligo è una sola: perché? E le prime risposte che vengono in mente sono due: un colpo di teatro, una sbruffonata come un colpo di scena mal riuscito da cinepanettone del cinematografaro romano in vista di una imminente cessione, una specie di firma a una gestione contrappuntata da troppe gaffes. O una sorta di avvertimento, tipo: io sono ancora qui. Destinatario Edoardo Garrone. Ovvero l’uomo che gli ha messo in mano la Sampdoria, che è ritenuto responsabile di questa scelta e che a lui è legato, suo malgrado, fino a che un passaggio di proprietà non chiuderà definitivamente un capitolo con tutti gli intrecci di garanzie che, appunto, a suo tempo avevano offerto una copertura economica a Ferrero.

Dal passato non ancora passato al presente non ancora futuro, ovvero Francesco Di Silvio, che con Ferrero condivide l’ambito professionale, il cinema, e l’irritualità di molti comportamenti. Il suo ruolo di mediatore nella cordata che dovrebbe portare lo sceicco Al Tani a Genova è scandita da una compulsiva presenza sui social, con – anche – incomprensibili lezioni di deontologia giornalistica. Rimarcato che il suo concetto di “articoli autorizzati” non trova riscontri nella libertà d’informazione, il concetto di fondo è molto semplice: Di Silvio può essere simpatico o antipatico, quello che conta sarà il momento (auspicabile) in cui i famosi 40 milioni saranno finalmente approdati nel conto escrow. Ovvero: nel momento in cui, auspicabilmente, il trustee Vidal potrà annunciare «ho contezza del deposito di denaro», a quel punto non conteranno più i punto di vista ma i dati di fatto. E i soldi. Insomma, si o no, dentro o fuori, soldi sul conto o conto vuoto. Punto. Il resto sono parole.

In mezzo, fra questi due estremi che, in qualche modo, si toccano, ovvero tra Ferrero e Di Silvio, c’è un genovese che la faccia ce l’ha messa perché, come ha confidato, suo padre gli ha insegnato ad assumersi le responsabilità. E’ Marco Lanna, ex giocatore della Sampdoria, presidente in emergenza, sampdoriano vero, senza alcun dubbio, uno che ha passione e che passione mette nel suo lavoro quotidiano. Quando, lunedì sera, ha visto materializzarsi il fantasma di Ferrero si è alzato ed è uscito dalla tribuna d’onore.Ha pensato di dimettersi. Poi ha metabolizzato la rabbia. E’ rientrato nello stadio. Si è seduto a distanza di sicurezza da Ferrero. Alle dimissioni, probabilmente, penserà ancora. Ma non le darà. Per spirito di servizio, per amore di Sampdoria, perché quando uno come lui si assume una responsabilità, la porta in fondo. Poche parole, fatti concreti.

Infine, in questa carrellata di volti e azioni, ci sono quella e quelle di Dejan Stankovic, arrivato alla Samp a prescindere da Ferrero. Ha un obiettivo preciso: salvare la squadra blucerchiata. Le sta dando un’anima, darle un gioco e pericolosità offensiva è molto più difficile. Ha trovato uno scudiero che cresce partita dopo partita, Djuricic, abbiamo visto Villar iniziare a comandare il gioco. Per Stankovic i moduli di gioco non sono dogmi ma strumenti. Farà l’impossibile, di questo possiamo essere sicuri.