Ex Ilva, incendio altoforno dimezza la produzione: l'azienda chiede la cassa integrazione per 178 dipendenti a Genova
di Roli
La maggior parte dei 3926 lavoratori per cui è stata richiesta la Cig sono dello stabilimento di Taranto (3538), poi Novi Ligure (165) e Racconigi (45)
Il blocco dell'altoforno 1 dell'ex Ilva di Taranto in seguito all'incendio scoppiato nello stabilimento ha dimezzato la produzione: per questo l'azienda ha chiesto la cassa integrazione per quasi 4mila dipendenti, di cui 178 genovesi. In tutto i lavoratori coinvolti sono 3926: gli altri stabilimenti interessati sono quello di Taranto (3538), poi Novi Ligure (165) e Racconigi (45). Fino ad oggi l'accordo di cassa integrazione con Acciaierie d'Italia, concluso in sede ministeriale, prevedeva 3062 lavoratori in cassa integrazione: le cig disposte a Genova erano 190, di cui ne venivano utilizzate circa 90, numero che di fatto raddoppia dopo la comunicazione di questa mattina. Da quelle 3062 si è saliti alle 3926 di oggi: domani verrà definito un nuovo percorso di cassa integrazione che potrebbe aumentare ulteriormente questo numero e portarlo oltre le 4mila unità, con conseguenze anche su Genova.
Indagini - L'altoforno 1 ora è sottoposto a sequestro probatorio: a condurre l'inchiesta è il pm Francesco Ciardo; tra gli indagati il direttore generale Maurizio Saitta, il direttore dello stabilimento Benedetto Valli e il direttore dell'area altiforni, Arcangelo De Biasi. I reati ipotizzati sono omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro e getto pericoloso di cose. A uno degli indagati è contestata anche la mancata comunicazione in base alla legge Seveso sull'incidente rilevante.
L'azienda contesta che la procura non abbia autorizzato nei tempi utili le attività di manutenzione e messa in sicurezza, "rendendo ora non più applicabili le procedure standard di esecuzione", quindi "nel momento in cui dovessero essere autorizzate, oggi, dopo oltre 120 ore dall'evento, non è più possibile procedere con il colaggio dei fusi, con la conseguenza che, in caso di riavvio, si dovranno adottare procedure straordinarie, complesse e con esiti assolutamente incerti". Un blocco che "potrebbe aver compromesso la possibilità di rispettare il cronoprogramma industriale".
Reazioni politiche - Secondo il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso l'incidente "più che le trattative in corso (quella con gli azeri di Baku Steel per l'acquisizione, ndr) può compromettere la ripresa degli stabilimenti e l'occupazione. Verosimilmente l'impianto è del tutto compromesso". Duro l'attacco della senatrice di Italia Viva Raffaella Paita: "Urso si deve dimettere: è il principale responsabile del disastro dell’ex Ilva. La situazione è drammatica e il governo ha fallito su tutta la linea. Oggi il ministro ammette che l’azienda rischia la chiusura, con nuova cassa integrazione e altri posti di lavoro persi. Ma cosa ha fatto finora? Nulla. Né a livello nazionale né europeo per evitare ritardi e norme che bloccano il rilancio. E ora si comporta come se lo Stato, che ha già speso miliardi, non c’entrasse nulla. È gravissimo. Domani dovrà risponderne in Parlamento".
Sindacati - La richiesta della cassa integrazione agita il mondo sindacale. “Bisogna ragionare su due aspetti: il primo riguarda la cassa integrazione esistente, che dovrà continuare a dare una copertura immediata rispetto all’emergenza che si è venuta a creare, e vogliamo sapere la tempistica rispetto a questa situazione - spiega Christian Venzano, segretario generale Fim Cisl Liguria -. E poi ci aspettiamo dal Governo una convocazione per capire come sta procedendo la trattativa con Baku Steel e il governo e soprattutto quali sono le soluzioni per l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale)".
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