Cresce, ma non si sa quanto, il "no" al referendum
di Paolo Lingua
Per la verità la questione, sino al mese scorso, non era prevedibile ma oggi vale la pena di riflettere sul fenomeno della crescita del “no” al referendum sul taglio dei parlamentari. Travolta l’opinione pubblica e i media dai problemi del coronavirus e della crisi economica con annesse le tormentate questioni dei rapporti con l’Europa, c’era una opinione indifferente e distratta sul referendum e si riteneva, anche da parte dei commentatori, scontato l’esito positivo per il referendum per il quale si voterà insieme alle regionali e ai rinnovi di molti comuni. Invece, da una decina di giorni, in netto crescendo sta risalendo il voto “no” al taglio, peraltro fine a se stesso, del due rami del parlamento.
Ci sono, in prima fila, i piccoli partiti sia di destra che di sinistra, che temono di scomparire; c’è il movimento dei verdi. Poi sono emersi partiti come i renziani, ma si sta insinuando un netto favore al “no” anche in casa di Forza Italia e soprattutto del Pd. Lo stesso Zingaretti è in vivace imbarazzo: in effetti il Pd per tre volte in parlamento ha detto “no” al taglio puro e semplice del numero dei deputati e dei senatori. Il motivo è semplice e anche logico: non si può mettere mano a una riforma lasciandola a metà, se non addirittura a un quarto del percorso. Il taglio deve vedere una riforma sulle competenze legislative del Parlamento e delle Regioni; deve riordinare i rapporti tra potere legislativo e potere esecutivo; occorre fine una riforma elettorale sulla quale i pareri sono nettamente contrastanti: maggioritario, proporzionale puro, proporzionale con lo sbarramento? Sono quesiti di riforma costituzionali non facili da affrontare (ovviamente seriamente e non per opportunismi o particolarismi contingenti) ragionando a fondo. Ma proprio a questo proposito stanno emergendo, giorno dopo giorno, comitati spontanei ma anche raggruppamenti di opinioni da parte di costituzionalisti e giuristi che mettono in evidenza le lacune e i limiti di una riforma che, così com’è, è grezza e rozza e punta solo sulla famosa “opinione di pancia” di chi, nel Paese, odia di principio i parlamenti e definisce tutto quello che è politica “casta”.
E’ una posizione di bassa demagogia che, di fatto, trova d’accordo il M5s da sempre nemico della presunta “casta” e alcuni ambienti sovranisti della destra. Ma ora il dubbio si sta insinuando nel Pd e in Forza Italia nonché un una buona parte della base della Lega. Di fatto una opinione trasversale che, magari con motivazioni non sempre eguali, sta agganciando i quadri dei partiti. Non mancano dirigenti, parlamentari, consiglieri regionali che, pur non affermandolo pubblicamente, non nascondano la propria opinione che lo porterebbe a votare “no” al referendum. Nei prossimi giorni, in alcuni partiti (e l’attenzione è puntata sul Pd in particolare), potrebbero emergere novità. Certamente il Pd è il partito che ha maggiori problemi: si sa che la maggioranza è contraria al taglio del parlamentari, ma la posizione potrebbe incrinare ulteriormente il rapporto con il M5s, già squassato dal fatto che nelle sette regioni dove si dovrà votare per il rinnovo solo in Liguria si è ricostruito l’accordo di governo, mentre in tutte le altre i due partiti andranno per conto proprio e anche non senza contrasti.
Una situazione che indebolisce il governo e dove Giuseppe Conte naviga in non poche difficoltà alle prese con le decisioni sui provvedimenti relativi al coronavirus, alla riapertura delle scuole e alla ripresa economica. I contrasti in corso tra le forze di maggioranza mettono in difficoltà l’esecutivo. Vale la pena di riflettere di quali potranno essere gli effetti del voto regionale e del referendum , comunque siano gli esiti. La sensazione è la crescita d’una sostanziale fragilità e dell’accentuarsi delle differenze e dei contrasti. La navigazione a vista è sempre difficile e inquietante.
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