Conclave al via: il mondo guarda al comignolo della Sistina in attesa della fumata bianca per il nuovo Papa
di Stefano Rissetto
Dalle 16,30 i cardinali si chiudono nella Sistina, sotto il Giudizio Universale di Michelangelo, per scegliere il capo della Chiesa cattolica

Mentre il supertelescopio orbitale James Webb esplora con l’occhio a infrarossi la struttura a grande scala dell’universo, cane artificiale da caccia sulle tracce di Dio, noi della razza di chi rimane a terra guardiamo da stasera al fumo di un comignolo di rame, installato sui tegolini di cotto che proteggono dal tempo il Giudizio Universale del Buonarroti. Già, il tempo: vero ultimo protagonista di un rito antico che ferma la storia e la intride di eterno. Inizia il Conclave.
Più che l'identità e il nome, del nuovo Papa dirà molto la perdurante assenza oppure il ripristino di un taglio di stoffa: la mozzetta rossa che Francesco, dodici anni fa, si era rifiutato di indossare sopra la talare bianca. Era il primo gesto di rottura con la tradizione. L’ultimo, testamentario, ha visto l’ormai inerme Bergoglio, senza più i 21 grammi dell’anima, esposto in San Pietro non sul catafalco dei monarchi teocratici, ma in una cassa aperta. Il più importante atto eversivo del suo regno non è stato invece sua scelta, ma del predecessore Benedetto XVI che, rinunciando al ‘munus’ pontificio, avrebbe aperto un decennio di controversa compresenza tra due Papi, estrema eccezione spaesante in uno scenario di regole millenarie.
Chi succederà, stavolta, non a Bergoglio ma a Pietro? Dopo dodici anni, in cui dalla cattedra petrina si è sentito parlare precipuamente di ecologia, sociologia e migrazioni, in molti vorrebbero tornare a essere rassicurati nella speranza più indicibile, espressa dal mito di Gilgamesh fin da tremila anni prima di Cristo: rivedere un giorno i genitori, le presenze care, la resurrezione. A una religione - dice da tempo Robert Sarah, il cardinale guineano fautore di una fermezza dottrinale divenuta marginale nella Chiesa ‘in uscita’ - si chiede che parli della vita eterna in Dio e non di come contrastare il buco dell'ozono.
A domandare a Francesco dell'Eterno era stato anche Javier Cercas, accompagnandolo nel surreale viaggio in Mongolia dell'autunno 2023, compiuto per visitare una comunità cattolica di appena 1.500 persone, guidata da uno dei religiosi creati cardinale a scapito dei capi di diocesi come Milano, la più grande del mondo, Venezia, Genova, Parigi e perfino Buenos Aires. Lo scrittore, non credente, afferma di aver ricevuto risposta ma non ritiene di diffonderla. Riaffiora così, da una comunità confusa e smarrita, una questione sopravvissuta, come il faro di Ar-Men percosso dai marosi di Bretagna, alla drammatica e inesorabile riduzione del Cristianesimo, da religione rivelata a una delle tante filosofie disponibili sul mercato degli psicofarmaci non chimici.
Tra i credenti ci si augura in molti che il successore di Pietro torni a parlare di fede, di ciò che supera questo tempo e ne dà una spiegazione; che parli innanzitutto al suo gregge, piuttosto che ai lupi – specie a quelli travestiti da agnelli. In verità, Bergoglio si è rivolto più spesso ai non credenti di sinistra che ai credenti non di sinistra, senza però ottenere conversioni dai primi e facendo vacillare i secondi. Ha macellato un’infinità di vitelli grassi, a favore di una moltitudine di figlioli prodighi che, dopo essersi saziati, se ne sono andati riprendendo la vita di prima, senza nemmeno ringraziare del banchetto. Con in più la patente di 'amici del Papa'.
In dodici anni Francesco, instancabile predicatore dell'"accoglienza" come ortocentro del Cristianesimo, quanti non credenti ha effettivamente "accolto" nella Chiesa? Quanti ha davvero avvicinato al Vangelo? O non piuttosto si è prestato, inconsapevolmente s’intende ma questo non rileva, ad essere strumentalizzato da chi non vedeva l'ora di assistere alla brusca destrutturazione del messaggio evangelico in una prospettiva sincretica: tutte le religioni si equivalgono, basta credere in una qualsiasi, anche nessuna, l'importante è volersi bene e non passare col rosso eccetera. Ma questa è ancora fede religiosa cristiana o soltanto una psicoterapia di gruppo?
Il nuovo Papa torni pertanto a parlare di ciò che distingue il Cristianesimo dalle ideologie terrene: la tensione verso l’invisibile, l’Eterno, secondo la parola del Dio fatto uomo. Un uomo che - dimenticato perfino dal suo giudice Pilato, come in un mirabile racconto di Anatole France rispolverato dall’agnostico Leonardo Sciascia, Il procuratore della Giudea - ebbe a innervare della sua predicazione, raccolta da Paolo di Tarso, diciannove secoli e mezzo di storia della società, cultura, dell’arte, del mondo. Un’epoca immensa che si inceppa nel secondo dopoguerra. E occorrerà un tempo lungo per capire quale sia la causa e quale l’effetto, tra la galoppante e forse ormai compiuta scristianizzazione dell’Europa e la progressiva resa unilaterale della Chiesa al mondo e alle sue convenzioni. Il Vaticano II volle ‘adeguare’ la Chiesa al tempo presente, nella configurazione istituzionale come nella liturgia, ma la desertificazione non solo non si è fermata o ha rallentato almeno, ma è andata accelerando. Un errore quasi plasticamente anticipativo della ventilazione meccanica inflitta al sorgere della pandemia ai primi pazienti, trasmutati in cavie ed evolutisi in vittime. Fin dal 1969, un professore tedesco di teologia disilluso dall’esito conciliare profetizzava, il giorno di Natale, dalle frequenze della Hessischer Rundfunk: “Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali (…) Gli uomini che vivranno in un mondo totalmente programmato vivranno però una solitudine indicibile. Se avranno perduto completamente il senso di Dio, sentiranno tutto l’orrore della loro povertà. Ed essi scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per se stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto. A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico, che è già morto, ma la Chiesa della fede. Certo essa non sarà più la forza sociale dominante nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte”. Quel professore era Joseph Ratzinger.
Nel dialogo interreligioso, il nuovo Papa torni a considerare prima chi è più vicino, anziché correre verso chi è distante o ostile, per giunta in un costante ribasso valoriale che attira il dispregio esterno e logora la saldezza interna. Il cardinal Siri diceva: "Costruire ponti, a condizione di restare saldi sulla propria sponda". L'accordo con la Cina è stato considerato dalla comunità interessata, per voce del cardinale Zen, una capitolazione alle pretese di Pechino di avere potere sulle nomine vescovili. Il solco con l’Ebraismo si è nuovamente amplificato, per le ripetute prese di posizione di Francesco su quanto accaduto in Israele dal 7 ottobre. Eppure la Chiesa ha ancora un ruolo, se il mondo si è fermato per Francesco, se da stasera guarda alla prima fumata.
Si guarda al comignolo della Sistina in un tempo scardinato e quindi terribile è il destino di chi verrà chiamato a rimetterlo in sesto. L'eredità estrema di Bergoglio è anche la combinazione tra il cerimoniale e i media, con l'indugio dei teleobiettivi sul suo povero corpo inerte e terreo logorato dalle malattie, sulla pratica della saldatura del contenitore metallico che tutti sappiamo essere il sibilo ossiacetilenico della fine. Questo mentre nelle sale si affacciava l'opera estrema di David Cronenberg, I sudari, un viaggio al termine del corpo, in un cimitero ad alta tecnologia con webcam morbosamente puntate sulla decomposizione chimica, immagini surreali e stranianti che non è stato possibile non ibridare in dissolvenza incrociata con il velo bianco di seta pietosamente deposto dal camerlengo sul volto del Pontefice, con la lastra di zinco esiziale ormai sigillata. E’ stato lo spettacolo in mondovisione della morte e quindi la riproposizione della domanda di cinquemila anni fa di Gilgamesh: e dopo?
Il nuovo Papa si troverà davanti alle macerie del Novecento che, contraddicendo Hobsbawm, è talmente lungo che non se ne vede la fine: il secolo della morte di Dio, un buco nero esistenziale rimpiazzato dalle idolatrie più strampalate. Rifletta il successore di Pietro su come la gravissima crisi del cattolicesimo - le chiese e i seminari che si svuotano, le messe domenicali disertate, il crollo delle offerte - sia nata proprio quando la Chiesa, nel secondo dopoguerra, decise di scendere a patti col mondo. Una Chiesa che parla di Dio ma non troppo per non disturbare, che annuncia il Vangelo ma non troppo "per non urtare la sensibilità" dei non cattolici, che abbandona la Profezia per la mediazione e il compromesso al ribasso, non serve più a nulla. Diventa una copia, bella o brutta che sia, di altre ideologie immanenti. E trasmette l'idea di una messa sì, ma in liquidazione.
In questi dodici anni abbiamo visto circensi, funamboli, giocolieri e mangiatori di spade sostituirsi ai predicatori accanto al vicario di Cristo. Abbiamo visto la facciata di San Pietro ridotta a diorama per diapositive di animali, idoli pagani portati in processione nella navata centrale, una danza macabra desolante. E allora vorremmo che il nuovo Papa tornasse finalmente a dire qualcosa di cattolico. Una frase come quella sfuggita a Enzo Jannacci, smisurato artista, avvicinatosi a Dio verso la sua grande sera: "Se il Nazareno tornasse, ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce lo meritiamo eccome, ma avremmo tanto bisogno di una sua carezza".
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