Come salvare l’Oto Melara
di Paolo Lingua
Da qualche mese si discute sul destino dell’ Oto Melare della Spezia, azienda con produzione di tecnologia avanzata e marittima, civile e militare, con presenza storica alla Spezia. La Oto Melara che ha più di mille dipendenti – tutti, in ogni settore, altamente qualificato professionalmente - è controllata dalla finanziaria pubblica Leonardo, erede storica di quella che fu la Finmeccanica. Per la verità, in questi ultimi anni, non senza polemiche e con prese di posizioni critiche da parte dei sindacati, la società Leonardo ha puntato a liquidare una parte delle imprese a lei collegate, anche con possibili “spezzatini”, soluzione che ha sempre suscito, non solo a livello dei dipendenti, non poche contestazioni. Negli anni passati sono state vendute all’estero non poche imprese strategiche italiane, molte delle quali dell’area cosiddetta pubblica. E, senza andare troppo lontano, basterebbe pensare alla continuamente rinviata soluzione del settore siderurgico, La ex Ilva, acquista, senza grandi successi e senza l’annuncio d8i strategie internazionali, al gruppo Arcelor Mittal che, dopo scioperi, minacce di licenziamento, crisi che coinvolgono soprattutto lo stabilimento maggiore di Taranto, hanno anche effetti negativi su Genova, Novi Ligure e Piombino. La mano pubblica dovrebbe ritornare a controllare l’ex Ilva, ma i tempi sembrano allungarsi e la confusione si accentua. Senza arrivare a situazioni drammatiche come quelle del settore dell’acciaio, anche il caso dell’Oto Melara sembra provocare dubbi e apprensioni. In un primo momento, tra l’altro, si era addirittura adombrato un possibile spezzatino tra i potenziali acquirenti. Ora, sulla base delle ultime voci che emergono sia dal governo, sia da parte del mondo imprenditoriale interessato, sembra farsi strada, anche con il giudizio positivo del ministro della Difesa Guerini, la strategia della vendita in blocco dell’ Oto Melare, nella prospettiva di tenerla ancora sotto il controllo nazionale, considerata la delicatezza e la strategia legata alla sua produzione. In questo contesto sembrerebbe – il condizionale in questi casi è sempre d’obbligo – farsi avanti la possibilità che l’azienda spezzina possa essere acquisita dalla Fincantieri. Non è la prima volta che l’azienda – anche questa a capitale pubblico - gestita con grande capacità dal supermanager Bono interviene a salvare settori produttivi, facendo leva sul momento favorevole che sta attraversando. Fincantieri, anche nei mesi della pandemia, ha ricevuto non poche commesse per realizzare unità navali civili e militari. Ha operato per la realizzazione a tempo di record la ricostruzione del ponte autostradale sul Polcevera, crollato drammaticamente oltre due anni fa. Ha un ruolo d9i leadership sui mercati internazionali. A Genova poi dovrebbe decollare, in tempi possibilmente rapidi, l’operazione di potenziamento del cantiere storico dell’impresa, con il cosiddetto “ribaltamento a mare”. In questa chiave, visti i progetti di crescita della cantieristica pubblica, il percorso di acquisto dell’ Oto Melara sembra prendere consistenza e lo si vedrà nei prossimi giorni quando ci saranno i primi incontri a livello romano con tutti i protagonisti della complessa vicenda. In questi casi, però, occorre valutare molti elementi: le potenzialità del mercato, eventuali esuberi occupazionali, questioni finanziarie e di bilancio. L’importante è evitare un percorso confuso e contraddittorio come quello che ancor oggi sta coinvolgendo la ex Ilva o persino l’acquisizione di grandi istituti bancari nazionali. Le operazioni vanno sviluppate con delicatezza e precisione, ma non si può nemmero rinviare le scelte di non solo di mesi, ma di anni. L’economia moderna ha esigenze di velocità e di tempismo.
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