Chiavari: processo Cella, i difensori chiedono l'assoluzione della Cecere e di Soracco

di R.C.

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La difesa del commercialista accusato di favoreggiamento nell’omicidio di Nada, sostiene che l'uomo sia stato anch’egli una vittima della vicenda

Chiavari: processo Cella, i difensori chiedono l'assoluzione della Cecere e di Soracco

Nel processo per l’omicidio di Nada Cella, uccisa il 6 maggio 1996 nello studio di Chiavari, le difese di Marco Soracco e di Anna Lucia Cecere respingono con forza le accuse e chiedono l’assoluzione dei loro assistiti, sostenendo che l’impianto accusatorio presenti falle profonde e sia privo di prove solide.

L’avvocato Andrea Vernazza, difensore di Soracco — accusato di favoreggiamento e per il quale la procura ha chiesto quattro anni — sostiene che il suo assistito sia stato “a sua volta una vittima, seppur non paragonabile alla ragazza” e che sia completamente estraneo ai fatti. Respinge le ipotesi secondo cui l’uomo avrebbe ritardato la chiamata ai soccorsi o cercato di proteggere Anna Lucia Cecere, la quale anzi “lo detestava”. Vernazza sottolinea come nel processo siano mancati elementi probatori concreti, criticando l’idea di un presunto segreto custodito da Soracco e avanzando dubbi sulla gestione della scena del delitto, non adeguatamente preservata dalle forze dell’ordine.

Parallelamente, la difesa di Anna Lucia Cecere — rappresentata dagli avvocati Gabriella Martin e Giovanni Roffo — afferma che l’ex insegnante “non ha commesso il fatto” e non può essere trasformata in un capro espiatorio per il bisogno di trovare un colpevole. Martin ha elencato otto punti ritenuti decisivi nel minare l’impianto accusatorio: l’assenza di rapporti con la vittima, la mancanza di qualsiasi legame con Soracco, l’assenza di prove che collochino Cecere sulla scena, la falsa ricostruzione della fuga da Chiavari, le sue condizioni economiche compatibili con il lavoro, la personalità, la mancanza di movente e la questione della prescrizione. La legale insiste sulla necessità di una “verità fondata su certezze”, evidenziando la totale assenza di indizi concordanti.

Secondo la difesa, il bottone rinvenuto nello studio non corrisponde a quelli trovati nella casa dell’imputata, e quel giorno Cecere si stava recando a lavorare a Santa Margherita. La stessa Cella — sostengono — era stressata e non desiderava più lavorare nello studio per motivi non chiariti. Quanto alla partenza di Cecere da Chiavari, non sarebbe stata una fuga, ma la scelta di completare gli studi per iscriversi all’università.

Le due difese, su fronti diversi, convergono su un punto: mancano prove certe per sostenere le accuse. L’altro legale di Cecere parlerà il 4 dicembre; la sentenza è attesa per il 18 dicembre.

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