Caso Nada Cella, scomparsi oggetti chiave: il fermacarte mai tornato alla Scientifica
di Emilie Lara Mougenot
Al processo spariti tre reperti sequestrati nel 1996 e poi restituiti, tra cui un oggetto compatibile con le ferite della vittima

Nuove ombre si allungano sul delitto di Nada Cella, la segretaria uccisa nel 1996 a Chiavari. Al processo in corso davanti alla Corte d’Assise è emerso che tre reperti fondamentali, tra cui un fermacarte potenzialmente compatibile con le ferite della vittima, non furono mai riconsegnati alla polizia scientifica nel 2021, quando il caso fu riaperto. Il commercialista Marco Soracco, datore di lavoro della giovane e ora imputato per favoreggiamento, aveva chiesto e ottenuto la restituzione degli oggetti nel 1997. Due decenni dopo, alla nuova richiesta degli inquirenti, gli oggetti risultavano irreperibili.
Reperti scomparsi – Il set di oggetti da scrivania, sequestrato subito dopo il delitto e poi restituito a Soracco, comprendeva un fermacarte in onice, un portapenne e poi un portaombrelli con presunte tracce ematiche. Secondo la polizia scientifica, nel 2021 furono restituiti solo un posacenere e un portapenne quadrato, mentre gli altri reperti risultavano assenti dalle scatole ricevute. Tra questi, il fermacarte – privo di impronte e ritrovato dopo l’omicidio nell’armadietto della vittima – è ritenuto compatibile con le ferite craniche.
Testimonianze chiave – In aula ha deposto Daniela Scimmi, ex biologa forense della polizia scientifica, che ha seguito le analisi del caso alla riapertura. Ha confermato che "che le tracce genetiche raccolte erano in larga parte contaminate e di scarsa qualità. I profili rilevati, ha spiegato, non consentivano identificazioni certe: mancava il cromosoma Y, ma ciò non bastava per attribuire il DNA a una donna.
Indagini genetiche – L’analisi del Dna ha permesso di identificare solo il profilo della vittima. Altre tracce erano miste, probabilmente contaminate da soccorritori o inquirenti. Sulla sedia dell’ufficio e sulla camicetta di Nada furono rilevate tracce biologiche non riconducibili con certezza a una seconda persona. Nessun esito significativo, inoltre, dalle macchie trovate in ascensore, rivelatesi non ematiche.
Ricostruzione forense – Il medico legale Francesco Ventura, all’epoca giovane specializzando presente all’autopsia, ha confermato che l’aggressione fu violenta e prolungata. “La vittima fu colpita ripetutamente alla testa mentre era già a terra”, ha dichiarato. Le lesioni, compatibili con oggetti contundenti come una pinzatrice o un fermacarte, indicano almeno una decina di colpi al cranio, inflitti da una persona in posizione soprastante. “L’aggressione – ha detto – potrebbe essere durata cinque minuti”.
Ipotesi degli inquirenti – Secondo la ricostruzione, Nada fu sorpresa appena entrata nello studio, colpita all’ingresso e poi finita accanto alla sua scrivania. L’assassino si sarebbe lavato in cucina prima di fuggire. Tuute le tracce furanno poi lavate, cancellate dalla mamma del comercialista, Marisa Bacchioni.
Accessi al computer – Il consulente informatico Mattia Epifani ha confermato accessi anomali al PC della vittima. Il giorno del delitto, lunedì 6 maggio 1996, il computer fu acceso alle 7.51, molto prima del consueto, e utilizzato fino alle 8.51, quando risulta effettuata l’ultima stampa. Due giorni prima, sabato 4 maggio, era stato acceso nonostante l’ufficio fosse chiuso. Nada venne vista mentre prelevava un floppy disc, fatto che avvalora l’ipotesi che stesse cercando un nuovo impiego.
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