Nuove nubi si addensano sul Teatro Carlo Felice di Genova. Un 'rosso' di circa 2 milioni di euro, emerso nel corso di un incontro tra la sindaca Silvia Salis e le sigle sindacali Slc Cgil e Snater, ha acceso le proteste dei lavoratori, che confermano lo stato di agitazione e minacciano nuove mobilitazioni.
Secondo i sindacati, il disavanzo non può ricadere sul personale, che già da tempo lamenta mancate risposte su aspetti economici (come buoni pasto e fringe benefit), stabilizzazioni e riconoscimenti professionali.
"La situazione economica non può essere pagata dai lavoratori", si legge nella nota congiunta di Slc Cgil e Snater diffusa dopo l’assemblea sindacale, che ha ribadito la prosecuzione dello stato di agitazione.
Durante l’incontro con le parti sociali, la sindaca Salis – anche presidente della Fondazione Teatro Carlo Felice – ha dichiarato l’impossibilità, al momento, di intervenire con fondi comunali. L’intenzione è ora quella di attivare canali di finanziamento privato, anche attraverso l’Art Bonus.
Sul fronte dei numeri è intervenuto il vicepresidente del Teatro Enrico Musso, che ha ridimensionato l’allarme: "Le criticità non sono imputabili solo alla gestione precedente. Il bilancio preventivo 2025 è stato troppo ottimistico: sono mancati sponsor per 300mila euro, e i ricavi da biglietti sono cresciuti, ma meno del previsto. A questo si aggiungono tagli al Fus e alla legge Genova".
Secondo Musso, l’aumento del costo del personale di circa 500mila euro – legato al contratto nazionale – ha inciso, ma i ricavi da abbonamenti sono comunque in lieve crescita rispetto al 2024. La raccolta fondi attraverso l’Art Bonus resta al momento l’unica strada: "Basterebbe il contributo di 50 aziende con 30mila euro a testa – ha dichiarato – per raccogliere un milione e mezzo, con un costo netto per loro di appena 10mila euro grazie alla detrazione fiscale del 65%".
Resta comunque confermata l’apertura della stagione con il "Don Giovanni" di Mozart, in scena il 3 ottobre, mentre il nuovo sovrintendente Michele Galli è atteso alla prova del risanamento economico, anche attraverso possibili tagli e razionalizzazioni. Il nodo resta aperto e la tensione tra lavoratori e istituzioni sembra tutt’altro che risolta.
