Carige, ancora in attesa di una soluzione
di Fabio Canessa
2 min, 52 sec
Il Punto di Paolo Lingua
La vicenda, tutt’altro che semplice, della crisi della banca Carige presenta aspetti singolari che meriterebbero una analisi a parte, quasi da corso universitario, per focalizzare una analisi magistrale. Ma qui non si tratta d’un modello astratto bensì d’una realtà concreta, a tratti drammatica. In realtà, almeno dal 22 dicembre dell’anno scorso, data dello svolgimento della teatrale assemblea degli azionisti, conclusasi senza esito e con la sospensione temporanea (o definitiva?) della proposta di di capitale, attorno alla Carige s’è svolto un balletto mediatico che, in concreto, non ha risolto nulla.
Anzi, la pioggia di informazioni ha oscillato dal tecnicismo gergale italo-inglese (sovente e forse volutamente incomprensibile), a dichiarazioni-spot di tipo politico e di area governativa con l’avanzare dell’ipotesi, poi silurata dal ministro Tria, d’una possibile nazionalizzazione dell’istituto.
Vaghi e impalpabili i messaggi, più che altro indiretti, provenienti probabilmente dalla trimurti reggente della banca – Modiano, Innocenzi e Lener - non hanno per adesso chiarito molto dell’azione di recupero e di risanamento, salvo il processo già in atto di piazzare il bond e i crediti deteriorati tema sul quale di ricama da tempo. Non sembra emergano elementi importanti dal decreto oggetti di piccoli e grandi emendamenti in Parlamento, chiarito che l’intervento pubblico è di garanzia ma non certo di acquisizione.
E allora? C’è un aspetto che tutt’ora rimane in ombra, a se in qualche modo se ne parla. E’ la questione del “piano industriale”. Va ricordato che il fatidico 22 dicembre l’azionista di riferimento Malacalza, che detiene il 27,5% del pacchetto dei titoli della banca, sospese il voto sull’aumento di capitale (i famosi 400 milioni di cui a Malacalza toccava versarne 120) proprio perché il consiglio d’amministrazione non aveva presentato assieme all’istanza di aumento il relativo piano industriale.
Il consiglio d’amministrazione, poi commissariato e trasformato in trimurti dalla Bce, s’è impegnato di mettere a punto il documento di piano entro la fine di febbraio. In teoria, se la proposta e il programma dovesse convincere Malacalza Investimenti si dovrebbe procedere entro la fine della primavera a una nuova assemblea degli azionisti e a una riproposizione dell’aumento di capitale riportando la banca nel solco della normalità della gestione.
Ma, sono in molti a chiederselo, i commissari e i loro tecnici sono in grado di varare il progetto? Ci sono gli elementi per metterlo a punto? I commissari dialogano con Malacalza Investimenti che poi diventa l’unico vero interlocutore, visto che altri azionisti come Mincione e Volpi, sia pure con motivazioni diverse tra loro, sembrano aver fatto un passo di lato? E il clan dei Malacalza ha invece un suo progetto? Si parla di aggregazione possibile della Carige con altri istituti di credito anche di maggiori dimensioni? Ci sono quelli graditi al Governo, quelli che piacciono ai commissari e quelli che invece sono nella sfera preferenziale dei Malacalza? Oppure si pensa a “ripulire” e a razionalizzare la gestione tagliando ulteriori costi (e una parte del personale) per arrivare alla banca locale “piccola e pulita”?
Nel frattempo la magistratura prosegue a esaminare errori, sprechi, consulenze sontuose e inutili e pretestuosa, frutto delle gestioni che si sono vorticosamente succedute in pochi anni? Gli uffici del gruppo Malacalza sembrano immersi in un silenzio sepolcrale, mentre dal palazzo della Carige emerge solo un sincopato e indiretto “cri – cri” come in un prato d’estate. C’è un po’ di fiato sospeso per capire cosa potrà emergere da tanto silenzio che il chiacchiericcio mediatico non incrina.
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