Caos della siderurgia e della politica in un contesto di confusione e di contraddizioni
di Paolo Lingua
E’ difficile, per non dire arduo, capire oggi che cosa accadrà nel settore siderurgico in Italia. Arcelor Mittal ha annunciato il ritiro – ma non si sa ancora bene né come né quando - dall’accordo con il Governo; i sindacati scendono in lotta, in tempi differenti (non si sa bene perché e percome) ma comunque a testa bassa; la Confindustria, così come tutte le categorie professionali e imprenditoriali, dichiara la guerra la Governo; ai vertici dell’esecutivo il premier Conte ha una posizione ma gli alleati ne hanno ciascuno una diversa, con sfumature più o meno polemiche e irritate; il centrodestra scende a battaglia contro tutto e contro tutti. Ma cosa accadrà sul serio? Ci saranno davvero tagli per il 50% dei dipendenti degli stabilimenti italiani di Arcelor Mittal? Non servirà a nulla rimettere in campo una legge sullo scudo legale? Ma il Governo rischia di traballare? Sono domande tutte collegate tra loro, anche se ciascuno risponde a una logica diversa e autonoma.
Ci sono , in buona sostanza, due realtà, connesse tra loro ma legate a logiche differenti, che convivono in questo momento specifico. Una è la allarmante situazione dell’ex Ilva che potrebbe subire una crisi gravissima sul piano aziendale e occupazionale (con pesanti ripercussioni anche sull’indotto nazionale) : un percorso di cui non è facile comprendere i passaggi: coi sarà un recupero, una mediazione, una marcia indietro oppure una tragica rottura con conseguenze imprevedibili ma pesantissime? Accanto c’è lo status, sempre più inquieto, dell’accordo politico che tiene in piedi sino a questo momento il fragilissimo collegamento tra i quattro partiti dell’attuale esecutivo. Abbiamo il M5s che sta attraversando pesanti contrasti interni, con una contestazione d’una parte della base contro la leadership, sempre più traballante, di Luigi Di Maio. I grillini, in questo ultimo scorcio, per mantenere un rapporto con la parte più dura, ma al tempo stesso più fedele, della loro base, insistono su alcuni vecchi temi, legati al “no” alle grandi opere e al rilancio di imprese come la ex Ilva, figli della folle “decrescita felice”.
Al tempo stesso questa politica del M5s impone, per salvare il governo, scelte che sono in netto contrasto con la linea storica e con le scelte del Pd degli ultimi dieci anni. Una situazione che rende fragile e agitata la leadership di Nicola Zingaretti e di Dario Franceschini, tanto è vero che nel d si stanno effettuando consultazioni con una base sempre più infuriata. Inoltre il partito, come del resto è già stato detto, si trova in mezzo a uno scontro epocale che vede avversare, nello stesso tempo, sindacati e imprenditori. Anche perché, sulla vicenda della siderurgia, Landini e Boccia dicono le stesse cose. Nel contesto c’è il partiti di Matteo Renzi che si agita tra gli alleati ed ex amici alla ricerca d’un consenso popolare che per il momento non arriva. Ma potrebbe nascere nel caso d’una crisi di governo e dell’annuncio di elezioni politiche a breve termine? Ma la crisi dell’accordo di governo potrebbe emergere dagli esiti delle elezioni regionali che si svolgeranno il prossimo anno da gennaio in poi. In questo contesto politico confuso e di forti dubbi e contrasti, possibili alleanze alle elezioni regionali tra Pd e M5s sembrano sempre più dubbie, così come il ruolo del movimento dei renziani, sempre più oscillante. E’ indubbio che la vicenda siderurgica, che si somma ai contrasti in corso riguardo alla legge finanziaria dove le differenze di valutazione crescono di giorno in giorno. E i partiti di governo sembrano assurdamente lavorare di comune accordo a favore della coalizione di centrodestra che a testa bassa tiene l’accordo e punta a vincere tutte le prove che si stanno schiudendo. Un suicidio di massa? Sembrerebbe di sì.
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