Ancora una regione al centrodestra e crollo grillino
di Paolo Lingua
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Il Punto di Paolo Lingua
La Basilicata si aggiunge alle altre regioni passate dal centrosinistra al centrodestra (Abruzzo, Sardegna, Friuli Venezia Giulia) nelle elezioni degli ultimi mesi. Ora i due schieramenti si dividono, grosso modo, l’Italia. Il centrosinistra si impone come “alternativo”, più che per brillanti risultati di voto a causa del crollo del M5s.
In Basilicata i dirigenti “grillini” commentano annaspando d’essere ancora il primo partito, ma hanno perduto in quella regione nel giro di un anno, più della metà dei voti. Prosegue il calo di Forza Italia anche se in questa tornata è riuscita a imporre un presidente vicino a Berlusconi.
Al di là dei problemi specifici e delle peculiarità della piccola regione del Sud è interessante tentare di compiere una riflessione sullo stato generale dell’opinione pubblica italiana anche per capire, se possibile, quale sarà l’evoluzione dell’elettorato nei prossimi mesi e, soprattutto, se questo Governo che sembra vivere di continui dissensi interni, poi ricuciti a fatica, avrà ancora vita lunga o, prima o poi, sarà destinato a implodere.
E’ banale, ma ovvio, dire che ormai il vero appuntamento è rinviato a fine maggio, quando ci saranno le elezioni europee che dovranno servire a farci capire quanto reggerà ancora la vecchia visione dell’Europa e quanto invece potranno guadagnare i partiti sovranisti. Per quel che riguarda l’Italia, a questo punto, sembra che la radiografia sia costante. Il centrodestra, all’interno del quale la Lega fa la parte del leone, si allarga e vince nettamente dovunque.
Sembra che sia la coalizione destinata a vincere comunque e dovunque. E’ un centrodestra in trasformazione: appare ovvio che la Lega sta guadagnando spazio e consensi: assorbe voti moderati che vorrebbero accentuare il rilancio economico (e qui sta il vero contrasto con i “grillini” sostanzialmente nemici delle grandi opere) e proprio in questa linea recupera voti alleati soprattutto a Forza Italia che sta perdendo consensi. Perché? Probabilmente per il calo di immagine, anche dovuto all’età, di Silvio Berlusconi e alla modestia del suo “cerchio magico”, dove non spiccano personalità politiche di rilievo: e questo è il leitmotiv di polemiche interne, in particolare quelle espresse, peraltro da molto tempo, da parte del presidente della Liguria, Giovanni Toti.
Non è facile trovare una soluzione: il centrodestra ha bisogno d’una forza interna liberale e moderata, ma non sovranista e priva di rozzezze ideologiche. Potrà farlo con una forza autonoma oppure occorrerà lavorare a “moderare” gli eccessi della Lega? Questo è forse il punto più difficile e delicato dei passaggi di consenso.
Prosegue, inesorabile, la discesa del M5s, al cui interno si continuano distinguer le posizioni di Fico, di Di Battista, di Di Maio. Quale strategia adottare? Tenere duro e semmai ingoiare ma restare comunque al governo? Oppure rendersi conto che il voto “vagante” è perduto e stringere le fila corazzate dei vecchi “duri e puri”? La tentazione per la seconda opzione è forte, ma vorrebbe dire uscire dal governo e trasformarsi in un partito di minoranza del “no” a 360 gradi. Una posizione che non dispiace – per motivi storici quasi centenari – all’estrema sinistra.
E il Pd e le possibili coalizioni alleate di quell’area? Qui il punto interrogativo si ingigantisce. Il calo vistoso e continuo del M5s sembra destinato a proseguire. Questo ha riportato il partiti e gli alleati di Zingaretti a presentarsi, sia pure sempre battuti, come seconda forza alternativa, avendo scavalcato nettamente i “grillini”. Ma Zingaretti è alle prese con un ipotetico e metaforico pendolo che indica due strade: recuperare il voto moderato oppure riallacciare i rapporti con la sinistra più radicale. Entrambe le scelte hanno vantaggi ed handicap. Decidere non è facile. Molto dipenderà da quanto potrà durare al governo all’alleanza giallo-verde.
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