Tutti gli impegni della Regione sul complicato caso dell'ex Ilva
di Paolo Lingua
Il consiglio regionale di oggi, dopo aver dedicato la sala a Eugenio Montale (una scelta di alto profilo che onora la figura culturale e politica del Premio Nobel per la Letteratura), ha affrontato con un faticoso dibattito la questione della ex Ilva che sul territorio ha una importante presenza, con un settore della filiera siderurgica che tutt’ora, a Cornigliano, impiega più di mille dipendenti.
All’inizio del dibattito non è sembrato così facile arrivare a un documento unitario, perché, in buona sostanza, scavalcando tutte le ipocrisie e tutte le tattiche, sia il centrodestra, sia movimenti politici come il Pd e “Italia Viva” erano in sostanza d’accordo sul recupero dei rapporti e sulla ricostruzione del rapporto con Arcelor Mittal, reinserendo lo scudo penale, che pure c’era e che poi il governo aveva assurdamente soppresso, mentre la linea rigida di tipo ecologistico era sostenuta dal M5s.
Si trattava di evitare soluzioni politicamente imbarazzanti (in particolare per la sinistra, anche se il centrodestra puntava a un risultato di assenso globale). Poi si è trovata la quadra con l’inserimento d’una modifica più complessa dello scudo penale che dovrebbe valere “erga omnes” ovvero per tutte le imprese (e non solo per la siderurgia di Taranto) che hanno in Italia problemi di messa in regola dal punto di vista dell’inquinamento ambientale di strutture produttive antiquate e socialmente pericolose.
Ovviamente, ma era scontato, la Regione si è affiancata ai sindacati chiedendo il blocco dei potenziali licenziamenti che oltre Taranto potrebbero coinvolgere Genova e Novi Ligure e, ovviamente, anche il “no” assoluto dello spegnimento degli altoforni, già annunciato da Arcelor Mittal, ma nei giorni scorsi revocato dalla stessa multinazionale anglo-francese. Molti aspetti della difficile situazione economica e produttiva internazionale nel settore della siderurgia sono stati esaminati ieri in sede di dibattito consiliare: è indubbio che la vicenda italiana è condiziona da situazioni internazionali come la contrazione del mercato dell’acciaio e la crisi di mercato del settore automobilistico (per non parlare della guerra dei dazi, messa in atto dagli Usa per via della politica di Trump).
Nella discussione, obiettivamente, sono emersi tutti i problemi mondiali del settore che , in parte, hanno influito sul comportamento, per certi aspetti sconcertante, di Arcelor Mittal. E’ indubbio che non è del tutto chiara la strategia del colosso mondiale della siderurgia: era già prevista una politica di tagli e di recessione dall’accordo di governo? L’abolizione dello scudo penale è stata una causa scatenante oppure un pretesto per annunciare il ritiro dall’accordo? Oppure c’è il progetto di proseguire con diminuzione delle spese e degli investimenti con un nuovo socio, anche di minoranza, che potrebbe essere una realtà finanziaria pubblica?
Al di là della presunta buona o mala fede di Arcelor Mittal non sono mancati errori e strategie da parte dei vertici del governo. Indubbiamente ci ha giocato l’atteggiamento, storicamente ostile, del M5s che ha certamente subito, nel siglare l’accordo dell’anno scorso, il sostanziale accordo portato quasi al termine da parte del governo Gentiloni. E in particolare dal ministro Calenda. E’ fin troppo ovvio che i renziani, il Pd e i grillini non la pensano alla stessa maniera in margine alla complessa vicenda che, va etto, si trascina problematiche e anche errori di conduzione che hanno più di vent’anni e che hanno coinvolto un po’ tutte le gestione e un po’ tutta la politica.
Come si evince dalla note di cronaca dei giorni scorsi e di queste ore, la situazione si è fatta più complessa, nel bene e nel male, dall’ingresso in campo della magistratura - di Taranto e di Milano – che certamente non faciliterà tutte le possili conclusioni e gli eventuali accordi e i compromessi. Ma anche questa, che proseguirà per mesi se non per anni, è una vicenda tutta all’italiana. Dobbiamo rassegnarci.
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