Stankovic vede la luce, dopo il pareggio dell'orgoglio vuole la rivoluzione della mentalità

di Claudio Mangini

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Stankovic vede la luce, dopo il pareggio dell'orgoglio vuole la rivoluzione della mentalità

 

Il riscaldamento seguito dentro il campo, le raccomandazioni a Vieira prima e Rincon dopo, appena cominciata la partita. Gli urli, il dito puntato a indicare l’avversario da non mollare e un arco disegnato col braccio a visualizzare il movimento da fare. E poi il “cinque” dato a tutta la panchina, con la mano aperta, dopo il gol del pareggio di Djuricic, il migliore in campo. E le pacche ai giocatori, gli abbracci alla fine. E gli altri abbracci, a inizio e fine partita, al compagno di Triplete nerazzurro Thiago Motta, anche lui alle prese con una navigazione piena d’insidie. Benvenuto Dejan Stankovic. La prima è un pareggio che vale un punto e molto di più: un’iniezione maxi di un ricostituente per l’autostima di una Sampdoria che si era persa e forse si ritroverà. «Vedo la luce in fondo al tunnel», dice l’ex centrocampista. E Filip Djuricic, serbo come lui: «Si vede già l’altra mentalità».

 

Quarantott’ore per provare a dare uno stop all’inerzia negativa, trasmettere fiducia, riaccendere la luce. Quarantott’ore sono poche, anche se lui, Dejan, ha detto che due giorni nei grandi club bastano. Lo ha detto perché doveva dirlo, anche se è vero solo in parte. Due giorni bastano per interrompere il circuito dell’inerzia negativa. Per costruire, ci vuole altro e lui lo sa. Per la prima sulla panchina sampdoriana, 48 ore dopo il suo insediamento, ha chiesto tre cose: orgoglio, sudore e impegno. Li ha avuti, non da tutti forse e non da tutti in quantità massimali, ma li ha avuti. La Sampdoria al Dall’Ara ha prima perso la partita, poi rivisto gli spettri, rischiato di subire (traversa) il gol del raddoppio che sarebbe stato uno psicodramma, quindi ha riagguantato il pareggio, infine avrebbe potuto vincere, senza rubare nulla. Ora chiederà altre cose, proverà a dare forma ad altri sostantivi: organizzazione, allenamento («dobbiamo allenarci meglio», fiducia («devo dare un abbraccio e fiducia»). «Possiamo migliorare in tutto», dice. Ed entra in dettaglio: nell’uno contro uno, nel tener palla, nel giocarla in avanti, nella pericolosità.

 

La prima Sampdoria dell’era Stankovic porta a tre osservazioni basiche, ma fondamentali. Prima: il nuovo allenatore della Sampdoria ha un atteggiamento totalmente divergente – caldo, passionale, macroscopicamente partecipe - da quello del suo predecessore, il che di per sé non basta certo a dare punti alla squadra, ma nei momenti di crisi certamente aiuta. Seconda: capisce le situazioni e le risolve in fretta. Il cambio di Gabbiadini, che non poteva – per caratteristiche, ma anche per limiti atletici contingenti – offrire un grande supporto sulla fascia, dove Bereszynski era in sofferenza, con Leris, ha variato gli equilibri ed è approdato gradualmente verso un 4-4-2 concretizzato con l’ingresso di Quagliarella. Due minuti dopo è arrivato il gol. Terzo: una volta ripresa in mano numericamente la partita, i giocatori della Sampdoria hanno mostrato di non aver dimenticato come si gioca, hanno cercato il palleggio, i tocchi di prima, sfiorando il raddoppio, che non sarebbe stato un’eresia.

 

Sinisa Mihajlovic, per andare a cercare un precedente suggestivo, nel 2013, prese in mano la Sampdoria in novembre, pareggiò la prima, non perse la seconda e centrò la vittoria alla terza, alla fine salvò la Sampdoria. E’ solo un riferimento, o meglio un auspicio. Ma, certo, Stankovic sa dove e come lavorare e ha già individuato problemi e carenze.

 

Presto, ovviamente, per giudicare, valutare e attribuire patenti ed elogi. Ma i segnali forniscono primi, incoraggianti, esiti. Stankovic, si sa, è arrivato dopo un casting in cui l’uomo più esperto, quello con l’etichetta dell’usato non sicuro ma certamente molto affidabile, Claudio Ranieri, si è autoeliminato, tutti sanno il perché: nessuna voglia di avere a che fare con il fantasma incombente di Massimo Ferrero. Stankovic pare arrivi con la benedizione di Roberto Mancini, con cui ha condiviso tratti di carriera, da giocatore alla Lazio, e poi all’Inter, uno allenatore l’altro club manager. Probabile che Mancini abbia speso parole buone anche per Daniele De Rossi che, da allenatore in campo, cerca il salto di qualità come allenatore vero, dopo aver fatto scuola guida nello staff azzurro del Mancio. Ma Stankovic porta in dote tre titoli e due Coppe di Serbia, non pochissimo. Dopo il pareggio di Bologna ha detto che si sente fortunato e privilegiato ad allenare la Sampdoria. E’ un’occasione, per lui e per una squadra che ha bisogno di una guida dalle spalle larghe, che sappia andare oltre le difficoltà e le carenze conseguenti ad una situazione societaria anomala. Il cammino è in salita e non facile, la prossima è la Roma di Mourinho, toh un altro incrocio non banale per Deki Stankovic.

 

Parallelamente, nella partita che, ci si augura, deve portare a un cambio di proprietà il più rapido e affidabile possibile, è l’ora – soprattutto per la cordata Di Silvio – di scoprire le carte.