Sampdoria sull'ottovolante verso il ciclo di ferro

di Maurizio Michieli

5 min, 50 sec

La squadra di Sottil assomiglia sempre più a quella di Pirlo ma senza averne i pregi

Sampdoria sull'ottovolante verso il ciclo di ferro

La premessa è d'obbiligo: ho sempre considerato odioso l'esonero di un allenatore, qualsiasi allenatore, non fosse altro perché l'atto rappresenta la certificazione del fallimento di un progetto collettivo iniziale. Ho tuttavia ritenuto inevitabile il passaggio da Andrea Pirlo a un altro tecnico quando è apparso chiaro che la Sampdoria fosse al palo dopo oltre un anno di lavoro, un mercato robusto e ambizioni rinnovate. Non conoscevo, se non da giocatore, Andrea Sottil e dunque mi sono fidato di Pietro Accardi, che stimo. Dopo due mesi di lavoro, però, siamo se non proprio al punto di partenza, quasi. Nel senso che la squadra blucerchiata assomiglia a quella di Pirlo - poco dotata sia di grinta che di organizzazione difensiva e atletismo (le tre cose che si imputavano alla precedente gestione) - senza possederne i pregi, ovvero la capacità di andare in gol con una certa dinsivoltura compensando i limiti di una retroguardia allegra.

Non solo. Con Pirlo i calciatori sembravano essere tutti dalla sua parte, di seguire quasi pedissequamente il maestro mentre le scelte disordinate di Sottil (gente che va e gente che viene nella formazione titolare) lasciano intuire un certo malcontento anche da parte dell'allenatore, mai soddisfatto da chi va in campo. L'elenco è lungo e oltre ai vari Vulikic, Bellemo, Yepes, Benedetti, Akinsanmiro, Borini, coinvolge persino il ruolo del portiere. E il turnover non c'entra, altrimenti Coda avrebbe (giustamente) riposato nella partita di mezzo del recente trittico e non giocandone due di fila e fermandosi poi parzialmente nell'ultima (questione di logica).

Attenzione: non sto gettando via il bambino con l'acqua sporca, non intendo sostenere che si debba esonerare Sottil e tornare a Pirlo o assumere un terzo allenatore (il fallimento dei fallimenti), ma sto analizzando la situazione. E come la analizzo io (che conto nulla), mi aspetterei che la analizzasse anche chi ha la responsabilità della squadra allo scopo di trovare qualche soluzione alla crisi. Perché sia chiaro che la Sampdoria - per espressa richiesta della proprietà a inizio stagione - non può e non deve limitarsi a vivacchiare in serie B, a un passo sia dai play off che dai play out, ma ha l'obbligo tecnico e morale di lottare per la promozione in serie A.

A Telenord, quando si concluse il mercato, avanzammo, a torto o a ragione, una tesi attraverso i nostri super opinionisti blucerchiati (Beppe Dossena, Enrico Nicolini, Francesco Flachi, Alessandro Grandoni, non proprio gli ultimi insomma): questa Samp non è attrezzata per salire direttamente su (come sosteneva la stampa nazionale specializzata), ma lo è per restare costantemente tra il terzo e il quarto/massimo quinto posto, unici piazzamenti accettabili per un club legittimamente ambizioso per quanto impegnato in un'opera di ricostruzione graduale.

Invece dopo la pavida prestazione di Cittadella e l'ignobile secondo tempo e sconfitta casalinga (la terza in campionato) con il Brescia, la Sampdoria si ritrova addirittura fuori dalle zone nobili della classifica e per di più al termine di un ciclo di incontri sulla carta più abbordabile rispetto al calendario di ferro che l'attende (dal Pisa al Palermo, dal Sassuolo alla Cremonese). Il calcio per fortuna non è matematica e tavolta sfugge, come ci auguriamo, a ogni logica ma non è assurdo ipotizzare che l'attuale nono posto ottenuto contro avversarie che stanno dietro in graduatoria sia meno facile da migliorare contro le prossime e ambiziose contendenti. Ma lasciamo stare i pronostici, che contano poco. 

Personalmente a preoccuparmi di più è la completa mancanza di autocritica, diciamo autoanalisi per essere politicamente corretti come va di (pessima) moda negli ultimi anni. Così la responsabilità - non scrivo la colpa - degli ultimi risultati negativi e di questo scomodo ottovolante sono da ricondurre agli arbitraggi, che di certo non hanno favorito la Sampdoria e su questo siamo tutti d'accordo. Ma non sono, non possono essere tutta la verità di fronte allo scempio visto con Juve Stabia, Cittadella e Brescia. E poi vorrei capire perché gli arbitri dovrebbero avercela proprio con la Sampdoria, cosa in parte smentita dalla rete annullata al Mantova (giusto farlo, secondo me, ma visto l'andazzo mi sarei potuto aspettare il contrario).

La Samp è da sempre una meravigliosa realtà del nostro calcio, vanta il record di abbonati in serie B, possiede una proprietà mediamente solida, pulita e senza scheletri nell'armadio, dirigenti perbene e composti, elargisce un sacco di soldi in stipendi ai calciatori, fa mercato e quindi alimenta il business, perché dovrebbe essere stata messa nel mirino dalla Federazione (da cui l'Aia dipende)? E' una domanda, né maligna, né maliziosa. E, soprattutto, cosa può fare la Sampdoria per migliorare lo stato di cose senza dipendere da un rigore in più o in meno (a proposito, ce ne fischieranno uno a favore prima o poi...), da una rete annullata o convalidata?

Ecco, questo mi sarei aspettato, dall'allenatore e anche da Pietro Accardi, dopo il misero punto raccolto e gli zero gol segnati con Cittadella e Brescia e la conseguente uscita, speriamo provvisoria, dalla griglia play off. Magari una strigliatina anche al lassismo dei secondi tempi, magari un ritirino o un permessino annullato, magari una più efficace gestione di alcuni giocatori, magari una toccatina di tempo al pur bravo Tutino, la cui accoglienza maestosa all'aeroporto potrebbe avere indotto a pensare di essere Gullit, magari un pensierino al mercato di riparazione (Accardi ha probabilmente fatto il massimo in estate, ma è innegabile che non tutti i numerosi acquisti si stiano rivelando azzeccati e lo sa anche lui) magari un richiamino alla realtà di cosa è e cosa rappresenta la Sampdoria per i tifosi e per il calcio italiano. Fatte salve le eventuali e doverose lamentazioni nelle sedi opportune sugli ultimi arbitraggi scadenti.

Ma buttare tutto in caciara o parlare di "ottimi primi tempi" non paga alla lunga, se il tutto non è accompagnato dalla giusta tensione emotiva. Continuare a dare alibi alla squadra non aiuta, non fa il bene della Sampdoria. C'erano fior di allenatori e dirigenti blucerchiati che a Bogliasco si inventavano persino dei casi inesistenti pur di stimolare l'attenzione e l'applicazione (Novellino) oppure prendevano persino per il collo i giocatori in campo (Mihajlovic). C'erano poi quelli che non ne avevano bisogno, ma perché allenavano Mancini e Vialli o Veron e Seedorf. Oggi i tempi sono cambiati e stanno cambiando, ma forse un compromesso è possibile trovarlo per evitare di continuare a ristagnare nella melma cullandosi sulla bontà dei tifosi. A furia di vedere Dejan Stankovic battersi il petto sotto la Gradinata Sud siamo andati giù a piombo.

Mi auguro con tutto il cuore che a raddrizzare la barca riescano Sottil e Accardi, sono professionisti capaci e quindi in grado di farlo. E hanno il supporto della società. Ma ripartano da loro stessi, dai "nostri" sbagli e non da quelli degli altri. Perché bisogna imparare a esserne più forti, se si vuole davvero diventare forti non soltanto a parole.

    

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