Derby, colpirne 50.000 per "educarne" 350: è davvero la soluzione giusta?
di Maurizio Michieli
I teppisti sono lo 0,7% del totale dei soli abbonati di Genoa e Sampdoria che non potranno andare allo stadio con Juventus e Juve Stabia
Così il dado è tratto: Genoa-Juventus e Sampdoria-Juve Stabia, in programma allo stadio "Luigi Ferraris" di Genova rispettivamente il 28 settembre e il 4 ottobre, si disputeranno a porte chiuse, cioè senza spettatori sugli spalti come ai tempi del covid. Solo che stavolta la causa non è il virus venuto dalla Cina ma la violenza domestica di circa 350 teppisti (fonte ufficiale). Trecentocinquanta individui su 50.000, a tanto ammontano i soli abbonati complessivi delle due squadre genovesi: si tratta di una percentuale dello 0,7% che, per effetto di questo provvedimento, impedisce al restante 99,3% dei tifosi di assistere dal vivo alle partite.
La domanda sorge spontanea: ma è giusto? "Colpirne" 50.000 per punirne 350 suona quantomeno come qualcosa di irragionevole. Senza tenere conto del fatto che gli stessi commercianti di Marassi, penalizzati dalla messa a ferro e fuoco del quartiere nella giornata di mercoledì, dopo avere perso dal tappo perderanno anche dalla spina per i mancati incassi (garantiti dalla gente perbene) di sabato 28 settembre e venerdì 4 ottobre. Non solo: così facendo, si rimette nelle mani dei facinorosi una straordinaria arma di ricatto nei confronti delle società, che come dimostrano i fatti di cronaca, genovesi e non, hanno spesso avuto rogne con le frange estreme dei loro sostenitori.
I fautori del sì è giusto partono dal presupposto che in Italia non si potrà mai attuare quanto fatto in Inghilterra per estirpare il fenomeno degli hooligans, ovvero chiudere baracca e burattini per due anni. E allora è meglio abbassare la saracinesca ogni tanto, anche a costo di penalizzare il 99,3% delle persone. L'argomentazione potrebbe pure reggere, se non fosse che partite a porte chiuse in passato ce ne sono già state molte qua e là e il risultato è che nulla è cambiato, i problemi di ordine pubblico si ripresentano ciclicamente e vengono affrontati, si fa per dire, con lo stesso metodo. Sebbene sia dimostrato che non funziona.
Così come è abbastanza surreale vedere i teppisti armati di coltelli, spranghe, mazze, bastoni, fumogeni e bombe carta e le forze dell'ordine rispondere con getti d'acqua (magari pure potabile) e lacrimogeni. Difatti il bilancio dei feriti riguarda soprattutto poliziotti, carabinieri, finanzieri e cittadini innocenti che si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. E' anche vero che oggi più che in passato in Italia basta un niente perché i tutori della legge passino dal ruolo di vittime a quello di carnefici. E da qui discende il fatto che non possano usare più di tanto la forza, non solo per difendersi ma soprattutto per mettere il maggior numero possibile di delinquenti in condizioni di non nuocere.
E allora che fare? Purtroppo il provvedimento delle porte chiuse conferma che non c'è la volontà politica di affrontare e risolvere la questione alla radice. Non c'è adesso come non c'è mai stata in passato. Toccare il calcio, il più popolare degli sport, rende impopolari e fa perdere voti. Gli stessi attori del pallone, Figc e Lega, hanno sempre messo la testa sotto la sabbia di fronte al problema della violenza dentro e fuori gli stadi. Persino noi giornalisti, intesi come categoria, abbiamo le nostre responsabilità perché a seconda della geolocalizzazione anestetizziamo la gravità dei gesti attraverso la leggerezza delle parole, al punto che a Roma le coltellate sono definite puncicate, un gioco da bambini insomma.
Viene da titolare senza via di uscita. Ma non è un thriller, né una commedia. E' semplicemente, sempre e soltanto, la solita farsa all'italiana.
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