Sampdoria, serve un finale di campionato col sangue agli occhi

di Claudio Mangini

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Si potrebbe cominciare dai se. Se Thorsby, dopo due minuti, fosse arrivato coordinato sul delizioso invito di Sensi, se Caputo al 21’ fosse riuscito a piazzare la palla anziché concludere centrale … E anche se Sabiri a metà ripresa non avesse concluso sul portiere proprio come Caputo, esattamente 45 minuti dopo, o se Quagliarella, nel finale, non avesse trovato Smalling sulla sua traiettoria, questione di centimetri. Se, se, se… E invece la Sampdoria torna in altalena: dall’illusione alla delusione, quest’anno va così. L’illusione di un cambio di marcia e di scenario a Venezia e un’altra partita senza punti contro la Roma. Sconfitta numero 18 (su 31) di una stagione contrappuntata dalla sofferenza di una serenità che si può solo sfiorare e mai fare propria.

Giampaolo, alla fine, ha visto gli aspetti positivi: essere riusciti a restare dentro alla partita, aver mantenuto gli equilibri, averci provato fino alla fine. Senza nascondersi il problema (o uno dei problemi) di fondo: le carenze di organico in attacco. E’ un’analisi lucida e fredda, anche se fatta a caldo. Ma è vero anche che a molti sampdoriani questa partita è piaciuta poco. Perché la Sampdoria ha fatto pressing e ha tenuto in mano la partita, è stata viva e vivace fino al gol di Mkhitaryan al 27’, ma per il resto (due terzi abbondanti di gara) è apparsa diligente ma mai col sangue agli occhi. E la spiegazione c’è, e non è certo in una carenza di grinta e di approccio quanto, appunto, in quella ricerca di equilibri sottolineata da Giampaolo. Vogliamo ragionare ancora con i se? Se la Sampdoria si fosse buttata furibonda all’arrembaggio, una volta passata in svantaggio, avrebbe potuto aprire praterie per il contropiede romanista facendo un regalo enorme a Abraham & C. e finendo, magari, per perdere di goleada.

Il problema – evidente – è che la coperta è corta. La squadra è stata mal costruita, anzi rimaneggiata, in estate sotto la gestione Ferrero. Il più macroscopico degli errori è stato togliere dalla rosa un elemento di equilibrio tattico, sostanza e gol come Jantko impedendo a D’Aversa di giocare un 4-4-2 appunto equilibrato e impedisce, casomai lo volesse fare, a Giampaolo di provare quel modulo, peraltro non il suo preferito. Il tecnico lo ha spiegato bene nell’intervista esclusiva a Telenord: in una squadra 15 giocatori possono giocare sulla mattonella preferita, ma dieci saranno costretti ad adattamenti. E Candreva, che si esalta nel 4-4-2, nel modulo di Giampaolo, è fatalmente il sacrificato numero uno. Il mercato di gennaio è stato il migliore possibile nella situazione societaria attuale della Sampdoria. Ma sono arrivati Giovinco che deve ricostruirsi atleticamente e Supryaha che, agli inevitabili problemi di ambientamento, ha aggiunto le problematiche di morale legate alla guerra nel suo Paese.

Sintesi: la coperta, come detto, è corta e la ricerca degli equilibri costringe, più di una volta, la Sampdoria, a essere scolastica in campo. Detto questo, a sette giornate dalla fine, con un ruolino di marcia sostanzialmente identico fra gare casalinghe e in trasferta (4 vittorie, 3 pareggi e 9 sconfitte a Marassi; 4 vittorie, 2 pareggi e 9 sconfitte in trasferta), non resta che andare alla caccia dei punti salvezza (almeno 6 ma forse ne potrebbero occorrere 8  o 9) nelle ultime 7 partite. Si ricomincia da Bologna, si dovrà giocare come a Venezia. Poi, la Salernitana a Marassi e il viaggio a Verona prima del derby. La buona notizia sono i 16.465 spettatori, la Sud di nuova piena, con i gruppi storici del tifo. Loro, i sampdoriani, meritano una squadra equilibrata, ma col sangue agli occhi. Ora i margini di errori sono ridotti quasi a zero e ogni punto in gioco può essere un passo verso la salvezza o verso il baratro.