Sampdoria a due facce: in trasferta è allarme rosso

di Claudio Mangini

5 min, 17 sec
Sampdoria a due facce: in trasferta è allarme rosso

Adesso è certo: ci sono due Sampdorie, quella che resta a mani vuote contro l’Atalanta solo perché Pairetto dalla cattedra del Var dà una lezione sbagliata all’arbitro Dionisi, che gioca di sostanza e volontà contro la Juventus e che rimette in piedi un risultato, contro la Lazio, compromesso da un altro uso bizzarro del Var. E poi c’è la Sampdoria che si fa strapazzare dalla Salernitana, che è anche quella (molto meno imbelle, ma non meno colpevole) che al Bentegodi gioca e fa pesare una superiorità qualitativa contro il Verona per poi autodistruggersi concedendo due gol per macroscopici errori difensivi, non avendo poi la lucidità per riagguantare il risultato con un secondo tempo in cui i lampi da 2-2 arrivano solo nel finale e, anzi, Audero ci mette un paio di pezze per evitare che il punteggio diventi più pesante. Ci sono due squadre anche nella stessa gara, a Verona: appunto quella che fa gioco, fa la partita, la tiene in mano e finalmente passa con un gran gol di Caputo, e c’è quella che rientra in campo dopo l’intervallo e dopo la doppia frittata senza quella carica nervosa e agonistica che ti aspetti: si cerca e non si trova, o si trova poco. E fa anche poco, almeno nel senso di occasioni da gol. E, dunque, una partita su cui, al 40’, si poteva scommettere il 2 nel tabellino del pronostico finisce per essere un altro viaggio a vuoto. Una beffa per quei 2000 che sono saliti a sventolare bandiere blucerchiate, soffrire caldo, illudersi e deludersi. Un altro passaggio a vuoto dell’altra Sampdoria. E ci sono anche due Giampaolo: quello che se la gioca da pari con Gasperini e Sarri, che dà lezione di calcio ad Allegri, ma poi non viene a capo delle sfide con Nicola e Cioffi. Che poi, a vedere bene, sono anche le sfide più importanti per la Sampdoria, contro avversarie dirette. Partite che – cliché scontato ma terribilmente vero – valgono doppio. E finisce per rinnovarsi quello che non è né un tabù né una maledizione ma una realtà supportata dai numeri: la Sampdoria (o le Sampdorie, negli anni) di Giampaolo continuano a soffrire il mal di trasferta. Fino a prova contraria, naturalmente. E al tecnico sampdoriano fischiano le orecchie, perché a qualcuno già viene in mente il cambio di panchina, anche se l’autunno non è ancora cominciato, altro che tempo di panettoni.

Se quella dell’Arechi era la prima prova della verità, macroscopicamente fallita, quella di Verona era già una verifica, l’occasione per rimettersi in pista nel modo giusto, dando continuità alla prova con la Lazio e alle altre casalinghe. Invece, tutto da rifare. Con la sensazione spiacevole, ma molto, molto appiccicosa e appiccicata ai destini blucerchiati, che anche quest’anno ci sarà da lottare fino alla fine per evitare di scivolare in serie B. Sperando, ovviamente, di essere smentiti il più in fretta e il più durevolmente possibile.

Lui, Giampaolo, la vede in un altro modo. Nel dopopartita ha parlato di cinque minuti di follia che hanno condizionato la partita. Ma non è così, se no Audero non sarebbe diventato protagonista nella ripresa non facendo scivolare altri palloni dentro la sua porta. Perché il Verona le occasioni le ha avute, eccome.

La prima cosa che poteva legittimamente sollevare perplessità era la riproposizione del 4-3-1-2, dopo che nella conferenza stampa della vigilia, lui, Giampaolo, aveva sottolineato che il 4-3-1-2 «è possibile solo se lavori collettivamente», rimarcando che ci vuole tempo per applicarlo, che si tratta di un modulo che comporta anche dei rischi, che la sua squadra stava lavorando su un altro tipo di calcio. E poi, ecco a Verona la Sampdoria schierata con il suo schema di gioco più amato, ma quest’anno mai utilizzato dal primo minuto in campionato. Ci si poteva aspettare una Sampdoria che presidiasse di spazi, coprisse le iniziative veronesi per poi andare ad affondare con Caputo e, invece, ci si è trovati di fronte un’altra squadra, forse scelta per provare a prendersela tutta, la posta in gioco. E, va detto, una volta passati in vantaggio, l’obiettivo sembrva a portata di mano. Questo nonostante Ferrari ampiamente imperfetto, Sabiri in posizione ideale ma quasi mai dentro la partita per continuità, efficacia, ma anche per posizione e palle importanti giocate. E nonostante Verre con molti più scuri che chiari e Bereszynski spesso in affanno.

Ma Gianpaolo non ha cambiato a inizio ripresa né è riuscito – questo va detto per via empirica, cioè per quanto visto – a scatenare la reazione della squadra che c’era stata, per esempio, mercoledì a Marassi dopo il rigore ingiustamente negato a Quagliarella.

Si è andati avanti così, con la fascia destra punto debole: da quella parte non costruivano iniziative, non si appoggiava il gioco e si subiva. Quando si è visto Leris pronto a entrare in campo non è stato per passare al 4-4-2, che in quel momento appariva una scelta opportuna, ma per dare il cambio all’affaticato vicecapitano Bere, senza variazioni di modulo.

Insomma, mani vuote e cattivi pensieri. Ora c’è il Milan, reduce da un derby trionfale e con uomini su livelli di rendimento eccezionale: Leao, Tonali, ma anche Maignan, e poi gli altri. La Sampdoria proverà a fare un’altra passerella fruttuosa contro un’avversaria di caratura largamente superiore. Poi andrà alla Spezia prima della sosta e riceverà il Monza subito dopo. Inutile sottolineare quanto valgano queste due gare contro avversarie della stessa fascia. Aspettiamo che, anche grazie alla sosta, vengano a messi a punto meccanismi difensivi che latitano e, ovviamente, che la Sampdoria bella riesca a scacciare la propria ombra, così come Giampaolo riesca finalmente a far pace con se stesso e a eliminare il mister Hyde che compare quasi sempre solo in trasferta.

Tre zuccherini per chiudere, togliendo un po’ di amaro di bocca: l’efficacia di Caputo, la generosità del General Rincon e i primi squilli rampanti di Pussetto.