Piero Sessarego: "Il mio primo incontro con Suarez e quella mangiata di mariscos a Barcellona"
di Redazione
L'opinionista di Telenord: "Quando Bernardini vedeva giocare Luisito finiva con gli occhi velati"
Luisito Suarez è morto oggi all'età di 88 anni. Vinse il Pallone d'oro nel 1960 ai tempi del Barcellona. Fece grande l'Inter e chiuse la carriera alla Sampdoria. Allenò anche le giovanili del Genoa.
di Piero Sessarego
Era un luglio caldo come questo. Tanti anni fa. Io scrivevo su Tuttosport e mi trovavo in Sardegna, rituale estivo, campo base Baia Sardinia, per intervistare i grandi personaggi del calcio in vacanza da servire a spron battuto in terza pagina. "Sta arrivando Luis Suarez in viaggio di nozze", mi avvertì il segretario di redazione. "Trovalo subito e mandaci il pezzo!".
Da Torino tutto facile. Da lì, un po' meno. Comunque, trovai in fretta l'amico Luisito, come sempre disponibilissimo. La gentile signora Nieves, giustificatissima dalle circostanze, molto meno...
Che bella fu quell'intervista. Che tempo felice fu quello. Che tempo infelice è per contro questo, povero Luisito, passato a miglior vita come s'usa dire.
Da allora la favola del campionissimo ex Barcellona che ispirò e corposamente aiutò l'Inter a vincere scudetti, coppe dei Campioni e coppe Intercontinentali a gogò, a maggior gloria di compagni messi soli a tu per tu con i portieri avversari, è diventata leggenda.
Poi, la lussuosa parabola calcistica di Luisito si concluse a Nervi, a due passi da casa mia, ramo Sampdoria. Sicché quando ci ritrovammo a Barcellona, favoloso e dolcissimo Mundial "82, mi disse Luis: "Ci vediamo a Madrid e mangiamo insieme mariscos. Ti faccio fare una panciata di gamberi crudi che non dimenticherai mai".
In effetti mi portò in un lungo corridoio stretto piastrellato di bianco, con una lunghissima mensola di marmo sulla quale il cameriere rovesciò una cesta di gamberetti crudi. E sotto a chi tocca! E chi se lo dimenticherà più? Veder giocare l'ormai Grand'Italia di Bearzot contro la Germania, era soltanto un piacere annunciato.
Caro, carissimo Luisito, quanto mi manchi, quanto mi sei mancato. Avevi due anni più di me, e quando capitava di vederci e stare un po' insieme, mi pareva di toccare il Cielo con un dito. Che onore essere amico senza interessi di sorta di un simile, tanto grande quanto modesto, Dio del calcio. Amava dirmi Fulvio Bernardini, mio indiscusso Maestro di calcio, di professione e di vita: "Giocare a calcio è difficile perché si fa coi piedi. Beato chi ce li ha: buoni".
Apposta quando Bernardini da me detto il Profeta vedeva giocare Suarez finiva con gli occhi velati.
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