Pensando al “dopo Draghi”, le infinite tattiche dei partiti
di Paolo Lingua
Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e il presidente della regione Liguria Giovanni Toti, mettendo insieme gruppi disparati di parlamentari dissidenti, hanno dato vita nei giorni scorsi al movimento “Coraggio Italia” destinato, nelle loro speranze, a diventare un partito nazionale che potrebbe diventare l’erede di fatto di “Forza Italia!”, considerata l’età avanzata e le condizioni di salute di Silvio Berlusconi. Per il momento, il neonato movimento si è già scontrato con l’establishment che forma il “cerchio magico” dell’ex Cavaliere - Tajani, Bernini, Gelmini e altri – che invece fa quadrato attorno alla vecchia struttura, comunque in fase calante sul piano dei sondaggi. E’ uno scontro annunciato , il cui esisto resta appeso sul filo del dubbio. Cos’ come, tanto per cambiare area politica le aspirazioni del Pd di Enrico Letta che tende a spostarsi a sinistra, ma al suo interno è diviso, così come le correntine e i partitini che costituiscono l’area dell’estrema sinistra, neppur sempre omogenea al proprio interno.
Resta incerta la sorte del M5s a sua volta diviso in più parti, nonché in conflitto per la questione complicata della “piattaforma Rousseau” ancora controllata da Casaleggio e con Giuseppe Conte che è un leader ancora sulla soglia della designazione ufficiale. L’area di sinistra fa fatica a trovare unità alla vigilia delle elezioni amministrative del prossimo autunno e della primavera del 2022. Per adesso c’è rottura per Roma e un faticoso accordo per Napoli. Sulle altre grandi città c’è ancora dubbio e confuso silenzio. Una situazione meno traumatica nel centrodestra, un po’ più coeso sul piano tattico delle alleanze generiche, ma percorso dalle rivalità tra Lega e Fratelli d’Italia e, come si è detto, con correnti di irritazione per la nascita del nuovo partito che decolla curiosamente dalle due storiche Repubbliche Marinare (Genova e Venezia). Occorre ricordare, e non è poco sul piano del respiro politico di maggiore ampiezza, che tra le due stagioni di elezioni amministrative, nel febbraio 2022 , si erge come una fortezza non facilmente espugnabile la diga delle elezioni presidenziali. Il punto interrogativo che fa perno per il prossimo febbraio apre tra prospettive. La prima è la riconferma -magari a tempo limitato come avvenuto con il suo predecessore - di Sergio Mattarella.
Questa prospettiva dovrebbe consentire a Draghi di completare gli obiettivi del suo incarico di Presidente del Consiglio per poi salire al Quirinale. Scelta più facile a dirsi che a realizzarsi perché Mattarella ha già dichiarato di voler chiudere in via definitiva il suo mandato e non ricandidarsi. A questo punto scatterebbe la seconda ipotesi (sempre sulla carta), ovvero l’elezione di Draghi che però lascerebbe il suo ruolo strategico a Palazzo Chigi un anno prima della fine naturale della legislatura. Che cosa potrebbe accadere a questo punto? Chiusura anticipata delle legislatura? Ingovernabilità di fatto? Infine, per completare il panorama delle ipotesi che si agitano in questo contesto ci sarebbe la possibilità di eleggere al Quirinale una “terza persona”, ma, senza offendere nessuno, non emergono personalità forti o grande respiro. Ma, in questa terza via si chiuderebbe, anche per motivi di età, la chance si eleggere Draghi al Quirinale.
Ma, a questo punto, l’attuale leader quanto potrebbe restare ancora alla presidenza del consiglio, considerato che, comunque va, i partiti tradizionali nel 2023 vogliono tornare in primo piano e lo scontro di annuncia già di respiro epocale, come battaglia diretta tra centrodestra e centrosinistra. Ma anche in questo caso in entrambi gli schieramenti non appare per ora ancora potersi delineare un leader carismatico. Centrodestra e centrosinistra appaiono fragili. Convivono un po’ agitati sotto lo scettro di Draghi, per il momento. Ma come si potrebbero muovere, una volta lasciati liberi di muoversi? Nella confusione ideologica e organizzativa del momento è di fatto impossibile azzardare previsioni, anche perché nessun partito o movimento dispone d’una organizzazione territoriale diffusa e organizzata come ai tempi della Prima Repubblica. E’ esiguo il numero degli iscritti anche nei partiti tradizionali della sinistra. E non è facile prevedere come modificherà le sue scelte l’opinione pubblica che, nel breve volgere degli ultimi cinque anni, si è dimostrata volubile e ondivaga. Una condizione psicologica generale che ha subito profonde modificazioni anche per la diffusione della pandemia che ha modificato profondamente la mentalità, le esigenze e le abitudini di tutta la popolazione, oltre che alterare la situazione economica.
Questo spiega il movimento inquieto degli attuali schieramenti attorno ai quali navigano come satelliti molti piccoli movimenti, soprattutto nell’area che un tempo nera considerata il “centro” e che di fatto non esiste più. C’è un fenomeno infine, al di là delle scelte ideologiche di campo, che merita una profonda riflessione : sono anni che s’è interrotto il collegamento tra i partiti e le cosiddetta società civile. Anche in occasione delle ultime vicende elettorali s’è fermato il rapporto di cooptazione tra i partiti e le emergenze professionali (avvocati, commercialisti, medici, imprenditori, manager, docenti universitari, ecc.). La politica non è più attrattiva e non solletica più, oltre che ideologicamente, anche solo come ambizione di carriera i potenziali leader del futuro. Questo fenomeno accentua il regresso intellettuale della elaborazione del pensiero politica e della relativa e conseguente azione amministrativa. Mario Draghi, a 74 anni, rischia di essere un’isola nell’oceano.
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