Ogni anno 'perse' 35 milioni di ore di lavoro femminile, l'allarme della fondazione Nord-Est: "Vengono imposti contratti part-time"

di R.O.

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Il direttore scientifico Luca Paolazzi suggerisce anche un cambio "nel modo di guardare ai giovani. Nel mondo si impara dai giovani, non si insegna a loro"

Ogni anno 'perse' 35 milioni di ore di lavoro femminile, l'allarme della fondazione Nord-Est: "Vengono imposti contratti part-time"

"Ogni anno vengono perse 35 milioni di ore di lavoro femminile a causa dell'imposizione di contratti part-time": è questo l'allarme lanciato da Luca Paolazzi, direttore scientifico della fondazione Nord-Est, il forum economico nato dall'unione delle confindustrie e delle associazioni di categoria dell'area, a margine del convegno organizzato da Confindustria dove si sono analizzate le possibili risposte al mismatch tra domanda e offerta di lavoro. E sarebbe questa la disparità che secondo gli esperti porta al gap salariale, "non ci sono contratti diversi per uomini e donne ma diverse prospettive di carriera" ha spiegato Umberto Risso, presidente di Confindustria Genova. La mancanza di servizi come gli asili nido e anche "la cultura a cui sono legate alcune aziende" secondo Risso sono gli elementi che completano il quadro.

Ma per colmare il mismatch serve anche un cambio di visione sui giovani, che secondo Paolazzi "sono una risorsa, non un costo. Nel mondo si impara dai giovani, non si insegna ai giovani".

Liguria - Nella nostra regione invece il tema più forte riguarda la manodopera specializzata: le posizioni lavorative aperte che non si riescono a ricoprire sono passat dal 23% nel 2017 al 50% nel 2024, oltre il doppio. "Questi dati ci segnalano una difficoltà da parte delle aziende a reperire i lavoratori - spiega Giacomo Franceschini, responsabile del centro studio di Confindustria Genova e Confindustria Liguria -. Una difficoltà che si declina in varie complessità: da un lato mancano le persone e ci colleghiamo all'andamento demografico, per cui ci sono meno persone in età da lavoro e quindi meno persone fisiche che sono disponibili per lavorare. Dall'altro c'è anche una questione non solo di quantità di persone ma anche di qualità, il disallinamento tra le competenze richieste dalle aziende e le competenze che i candidati a ricoprire determinate posizioni forniscono. È qualcosa che è collegato alle grandi transizioni che sono in atto: la transizione green, la transizione digitale su cui le aziende hanno più difficoltà a intervenire anche per loro stesse difficoltà a interpretarla, non è una mancanza solo dal lato del lavoratore. In aggiunta a questo c'è poi la distanza che ci può essere tra il possedere un titolo di studio e le competenze collegate con il titolo di studio che in questo momento storico sono necessarie, per cui tutte queste questioni quantitative e qualitative di competenza, di corrispondenza tra competenze e titoli di studio, vanno a alimentare queste difficoltà"

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