Le contraddizioni delle norme sulla ripresa

di Paolo Lingua

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Le contraddizioni delle norme sulla ripresa

Sembra facile, diceva un vecchio proverbio, fare gli accordi, ma i “se” e i “ma” sono sempre in agguato. Si annuncia un accordo tra regini e governo, ma sempre “sub condicione” perché non si sa mai. Sembra una corsa a fare contente le imprese di ogni genere e dimensione che certamente sono in grandi difficoltà, ma dinanzi c’è sempre lo spettro d’una ripresa dei contagi, anche perché il calo dell’infezione da coronavirus (e di decessi) sono in discesa frenata. Spiace dover sempre far emergere la punta dell’iceberg del pessimismo, ma le vicende di questi mesi non fanno inclinare assolutamente in senso inverso. E gli stessi summit degli esperti e degli scienziati dell’infettologia non esprimono ottimismo. Anzi puntano sulla cautela. Il premier Conte appare sempre più frastornato, anche perché alle sue spalle prosegue la rissa tra i partiti che lo sostengono e si accentuano, anche per la regolarizzazione degli immigrati, le risse tra renziani e grillini.

Ma torniamo all’esame, che pure tentiamo di fare da giorni, sulle modalità e sulle possibilità operative delle riaperture annunciate e concesse. Chi controllerà le complicate regole che dovranno essere osservate dai cittadini? Sembra più semplice quella che sarà la vita dei negozi medi e piccoli al minuto: si entrerà con guati e mascherine uno per volta. Ma sono realtà in cui non sono prevedibili resse. Lo stesso discorso vale per gli artigiani che, in gran parte, non lavorano con e per il pubblico, ma smistano merci ad altre aziende loro clienti o ricevono materie prime. Realtà non intense e sempre regolabili. Il “buco nero”, non ci stancheremo di ripeterlo, restano i parrucchieri e gli istituto di estetica, bar, ristoranti e pizzerie e, soprattutto, gli stabilimenti balneari, sia privati sia le spiagge libere.

Molte strutture dovrebbero organizzarsi e ristrutturarsi in questi giorni per l’annunciata riapertura del 18 maggio, voluta a tutti i costi, anche per evidenti esigenze di agguantare il consenso politico. Parrucchieri ed estetisti dovranno predisporre distanze, disinfezioni e nuove tecniche su come tagliare, lavare e tingere i capelli. Non potranno far sostare nessuno nei loro negozi se non i clienti i fase di trattamento con ingressi e uscite sottoposte a precisi controlli di disinfezione sanitaria. Con tutta la buona volontà non sarà né facile, né semplice. Lo stesso discorso, con la diversità del caso, varranno per bar, ristoranti, pizzerie e così via. Le prenotazioni dovranno essere ferree e le dislocazioni nelle sale e ai tavoli con distanze precise. Non si potranno fare cene di gruppo e, a quanto pare, neppure di nuclei familiari anche di un numero limitato di partecipanti. Anche in due, con distanze severe anche attorno allo stesso tavolo, si potrà conversare solo ad alta voce. Si punta molto sul recuperi di spai dei potenziali de hors che saranno incrementati e realizzabili senza pagare tasse comunali. Ma una città come Genova quanti posti all’aperto, possibili solo con il bel tempo e senza la pioggia, potrà recuperare? Basterebbe pensare a zone come Boccadasse o il centro storico. Se un locale avrà il permesso non lo potranno avere i vicini. E per tutti insieme non sarà possibile materialmente.

Ma, al di là delle problematiche di cui si è parlato per gli stabilimenti privati, come sarà possibile organizzare un accesso alle spiagge libere che non sono né spaziose né numerose in Liguria e comunque sono abbandonate a se stesse in condizioni igieniche assai preoccupanti. Ora si parla di accessi controllati con il pagamento di 50 centesimi a persona, con capienza limitata e spazi, segnati da nastri sull’arenile. Si dovranno realizzare in tempi stretti docce e servizi igienici che mancano assolutamente. Ci vorrà personale di controllo e anche addetti che possano ogni giorno igienizzare docce e servizi. A spese di chi? Dei comuni o con fondi statali?

Un’ultima e grande incognita, in particolare per le località balneari delle due Riviere, riguarda le presenze turistiche extra-liguri. Il commissario al turismo regionale, che poi è il segretario generale, uomo di fiducia del presidente Giovanni Toti, l’avvocato Pietro Paolo Giampellegrini, ha ammesso che bisogna dare per scontato che non avremo di fatto presenze straniere. Sono in corso massicce disdette. Il che è un grosso problema perché gli stranieri rappresentano da sempre più del 40% del turismo balenare estivo. Dovremo quindi puntare (e in questo senso pare che sarà fatta una operazione di promozione) su Lombardia, Piemonte, Emilia e altri territori del Nord Italia. Non basteranno a riempire (e anche a far aprire) alberghi, pensioni e case in affitto. Senza contare che sono le regioni nelle quali è stato ed è tutt’ora più intenso il contagio del coronavirus. Ne abbiamo subito l’aggressione sin da marzo, quando il virus si è diffuso negli alberghi e nelle pensioni del Ponente. Il rischio è dunque da non sottovalutare se dovremo avere a che fare con questo solo potenziale turistico. Giampellegrini pare un po’ troppo ottimista come il famoso Don Ferrante del Manzoni che, certo delle congiunzioni astrali, in piena epidemia, andò a letto con la peste, prendendosela con le stelle.