La solita rissa politica all'italiana

di Paolo Lingua

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La solita rissa politica all'italiana

La pandemia del coronavirus ha creato al nostro mondo (in particolare quello “occidentale”) che si credeva al sicuro di tutto una crisi esistenziale che durerà per molto tempo e lascerà non poche tracce. Tra i tanti guai però, per stare in “casa Italia”, sembrava che avesse fatto superare una cultura di vecchie diatribe, spesso di modesto spessore, nel pasticciato mondo politico italiano. Invece, come sempre, il fuco covava sotto la cenere e, in questi giorni, la rissa politica, con infinite diversità e distinguo è riapparsa sulla scena, complicando ulteriormente, come del resto era prevedibile, le scelte operative che devono avere in questo momento delicato un doppio obiettivo. In primo luogo puntare a diminuire contagi e infezioni proteggendo al massimo i cittadini. In secondo luogo puntare a una ripresa economica al fine di evitare una crisi già in atto e segnalata a tutti i livelli con tutti i riflettori puntati sull’Italia. La ripresa, per fermarci al secondo punto, però, va gestita con la massima cautela e con il massimo controllo scientifico e sanitario perché una ripresa alla grande della diffusione del coronavirus, oltre a portare altre migliaia di morti, avrebbe effetti economici ancora più pesanti e in qualche caso persino irrimediabili.

Ma, dopo un inizio nel quale i partiti di governo e persino quelli dell’opposizione sembravano ispirati alla cautela e a evitare inutili conflitti, la voglia di rissa, ma soprattutto la ricerca a testa bassa del consenso, ha fatto riprendere la voglia di baruffe.

All’interno del governo il Pd è stato il partito più cauteloso e, con l’esclusione della sortita di Del Rio che aveva puntato su una imposta patrimoniale (stroncata dagli stessi compagni di partito come gaffe inutile e dannosa), nonché il più propenso a difendere la linea del premier Giuseppe Conte e dei suoi consiglieri scientifici. Poi, invece, è emerso il M5s, oscillante tra il rigore e le aperture, ma soprattutto ostile ai rapporti con l’Europa. Poi ci sono state le impennate, più recenti, di Matteo Renzi che ha abbracciato la strada d’una ripartenza meno cautelosa.

Si è addirittura parlato d’una crisi di governo e della possibilità di una “grande coalizione” con l’opposizione. Poi per ora messa da parte.

Assai complicata la geografia dell’opposizione. Salvini soffre di una erosione continua della sua immagine, anche perché tra i suoi alleati Fratelli d’Italia ha deciso di correre in solitudine, per conto proprio, non collocandosi come in passato sulla linea dei leghisti. La Meloni ha fattto manifestazioni da sola dinanzi al parlamento e non ha raccolto l’invito0 della Lega a “occupare” il Senato per protesta. Ancora più distante dagli antichi alleati la posizione di Forza Italia per diretta ispirazione di Berlusconi che ha puntato invece su una posizione di collaborazione e di prudenza, senza attaccare il governo e puntando invece a trovare un accordo con l’Europa, accettando anche il Mes, ragionando sull’urgenza di recuperare 37 miliardi per la nostra economia.

In realtà la struttura dei nostri partiti è frazionata e fragile all’indomani delle elezioni del 2018. Le coalizioni messe insieme, sia al governo, sia all’opposizione, sono sempre state confuse e artificiose. Costruzioni appiccicate con una colla fragile, pronte a squagliarsi. In realtà tutti temono, a questo punto, lo sciogliemento del Parlamento e nuove elezioni politiche che sembeerebbero un viaggio nella nebbia per tutti. Poi in questa situazione particolare una crisi nazionale sarebbe insostenibile. E allora? Con una visione molto “paesana” e di corto respiro i partiti sanno che in autunno ci saranno le elezioni in sei regioni . Una prova generale di come si struttureranno i nuovi rapporti di forza. Questo spiega, oltre alle risse romane, lo scontro che vede, in una girandola disordinata di proposte locali (tra cui spicca la Liguria con un Giovanni Toti alla caccia del consenso che potrebbe sfuggirgli per la non facile situazione della sanità), una battaglia quasi istituzionale. Le regioni e a volte i comuni, contro lo Stato. Ma anche i Comuni contro le regioni. Alle spalle di questa rissa confusa ci sono le istanze della paura dei cittadini d’una ripresa del contagio e l’ansia di molti settori economici in pesante crisi, per non parlare della disoccupazione diffusa che avanza. Tutte le regioni italiane (e la Liguria ancora una volta in prima fila) prevedono una disastrosa stagione turistica che si chiuderà alla vigilia del voto. Difficile puntare alle strategie e a una visione di largo spazio. Occhi bassi e caccia al voto. Sempre che i cittadini abbiano voglia di andare alle urne. Con quale entusiasmo e con quali simpatie? L’ossessione alla comunicazione (ecco una riflessione per Toti) può sempre ritorcesi contro come uno tsunami.