La priorità dei problemi della scuola
di Paolo Lingua
C’è un nemico che getta la sua ombra sulla scuola italiana di ogni genere e grado, dalla scuola materna all’università. Ed è la cosiddetta “didattica a distanza”. E’ un sistema che, certamente stretto dalle necessità del deflagrare della pandemia soprattutto l’anno scorso, ha fortemente danneggiato la didattica e tutti gli aspetti della vita scolastica. Non tutti gli studenti hanno dimostrato di sapersi adeguare al sistema, alcuni, in zone dove la tecnologia era meno diffusa (anche per questioni economiche), altri perché scarsamente coinvolti. Il danno, sul piano pedagogico, è stato pesante e non sempre recuperabile: un discorso che vale anche per l’Università, in particolare per le materie scientifiche. In questo contesto, al di là della esigenza di presentarsi a scuola con il “green pass”, era forse da attendersi una risposta più decisa da parte dei ministeri e delle strutture scolastiche.
Ci sono due problematiche diverse e parallele. La prima è quella di mettere a punto una geografia locale (regionale e provinciale) della situazione scolastica dal punto di vista delle strutture. La seconda, invece, è quella di predisporre una organizxzazi9one di docenti in grado di decollare dalla metà di settembre, invece che, come sovente accade, tirarla alla lunga sino alla metà di ottobre per sistemare gli organici. Nel co0rso dell’inverno e della primavera sono stati indetti molti concorsi per cercare di riempire i vuoti di cattedre di ogni materia. In realtà, sia pure in condizioni differenti a seconda delle materie, i “vuoti” di cattedre, in ogni regione, sono di imponenti dimensioni. In parole povere, i concorsi, così come sono stati strutturati, non hanno colmato se non in minima percentuale i vuoti in corso. E non si capisce perché, dal mpomento0 che questa era la migliore occasione per mettere a punto, in via definitiva, gli organici della scuola italiana.
Per essere corretti, occorre riflettere sulla questione, perché è un difetto che grava da molti decenni sulla organizzazione della scuola italiana. In effetti i concorsi per immettere in ruolo di personale precario degli insegnanti non coprono mai le esigenze, quasi sempre impellenti del completamento degli organici. Per cui, all’inizio di ogni anno scolastico ci si trascina dietro, accanto ai pochi vincitori dei concorsi, schiere assai più numerose di personale destinato, sovente in un clima di affannata confusione, ad arricchire le schiere inquiete di aspiranti incaricati e supplenti. La situazione generale si è aggravata nel corso degli ultimi due anni, in seguito al diffondersi della pandemia. In particolare per quello che riguarda la logistica. E’ lento e in ritardo l’operato di ricerca di nuovi spazi nei quali ospitare gli studenti. Egualmente è in ritardo il calcolo e la valutazione delle necessità più urgenti e che riguardano le zone del territorio dove le disponibilità sono minori rispetto alla popolazione scolastica.
Non ci sono idee molto chiare a meno di un mese dal decollo delle elezioni, al di là del lodevole impegno (che non è scolastico ma politico generale) di spingere la popolazione al di sotto dei 18 anni verso la vaccinazione. Un obiettivo ottimo e lodevole e che deva valere anche per il personale scolastico: presidi, insegnanti e addetti ausiliari. In questo caso non sono accettabili le disquisizioni sulla libertà o meno dei cittadini. Il personale scolastico è come quello sanitario. Deve essere vaccinato e basta. Non ci sono eccezioni. La scuola è una necessità primaria e non può essere oggetto di disquisizioni politologiche. Ma deve tornare alla normalità e decollare al livello di normalità a parte da settembre. Fallire questo obiettivo, in un momento in cui non si fa che parlare d’una ritorno alla normalità e alla ripresa dell’economia, sarebbe veramente molto gravi. I premier Draghi, che gode di un’altra stima a livello europeo e internazionale, non lo può assolutamente permettere.
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