La legge elettorale e la caccia ai candidati
di Paolo Lingua
La nuova legge elettorale regionale, decollata in “zona Cesarini”, a meno di due mesi dal voto, ha in parte scompaginato le carte dei partiti e delle coalizioni. Per il voto di genere non è tanto la questione delle preferenze a preoccupare le segreteria quanto piuttosto la composizione delle liste all’interno delle quali il 40% deve essere composto da donne. Un altro problema che emerge è quello della caccia ai candidati, perché se ci sono consiglieri uscenti o dirigenti di partito pronti a scendere in campo, non è invece semplice, al di fuori della retorica della comunicazione mediatica, trovare esponenti della società civile o professionisti disponibili a scendere in campo, perché ormai il numero dei posti in gioco è ristretto rispetto al passato e perché, con l’abolizione del listino, non ci sono “nomi di lusso” disponibili a rischiare la corsa alla preferenze.
Tra i tanti nodi “storici” che a questo appuntamento elettorale vengono al pettine c’è ormai – ma qui nessuna legge può cambiare la realtà – la mancanza di organizzazioni territoriali e di strutture (come le vecchie sezioni) in grado di garantire il voto di preferenza a un candidato gradito ai vertici. Ognuno deve organizzarsi per conto proprio e andare a cercare le preferenze quasi con il cappello in mano. Facciamo una radiografia della situazione. Il consiglio regionale per legge in Liguria è composto da trenta consiglieri, più uno che è il presidente eletto. C’è un premio di maggioranza per la coalizione vincente, ma il voto procede, con collegi provinciali, con la proporzionale.
Ogni elettore può esprimere al massimo due preferenze (una di genere, come s’è detto). Quale potrà essere l’esito? La coalizione vincente potrà oscillare, presumibilmente, tra i 16 e il 18 seggi. Le coalizioni o le liste perdenti resteranno tra i 15 e i 13 seggi. E’ fin troppo ovvio che usciranno pochi consiglieri per singolo partito (anche all’interno della coalizione) e che quindi la guerra delle preferenze sarà dura. E’ possibile che, nel caso dei vincenti, qualche consigliere, nominato assessore, lasci il seggio facendo subentrare il primo dei non eletti, ma, a tirare le somme, la torta dei posti non è poi troppo grande e gonfia. Non assistiamo per ora, come fenomeno sociale di comportamento, alla corsa per le candidature, anche perché in molti partiti i candidati più agguerriti (e in particolare i consiglieri uscenti) sono in partenza dalle prime file.
C’è poi un fenomeno ancora più complesso che merita una riflessione: via via che l’immagine della politica ha perduto prestigio agli occhi dell’opinione pubblica, s’è ristretto il campo di esponenti della società civile, disposti a entrare nella vita politica. Si è già avvertito nelle ultime tornate elettorali: e il livello delle dirigenze s’è impoverito. Basterebbe riflettere su come si sono svolte le procedure per trovare un candidato alle regionali per il centrosinistra che pure raccoglie gli eredi dei partiti più scafati e pratici. Il centrodestra, a sua volta, pur puntando più sul voto d’opinione che su quello organizzato, ha altrettante difficoltà. Ci sono, nei diversi schieramenti, piccoli partiti che hanno grosse difficoltà a mettere insieme liste di trenta candidati. E’ già successo. Ma in questi ultimi giorni, appena scattata la corsa, con i potenziali “presidenti” già alla testa delle liste con maggiori chances si è già notato l’affanno nelle operazioni di ricerca per arricchire sul gran vassoio delle candidature l’immagine di un “menu” ricco.
Tanto è vero che si stanno cercando sindaci di piccoli comuni o esponenti molti identificati di territorio. Ovvero punti precisi di riferimento. Sarà curioso capire dove arriveremo entro una quindicina di giorni quando le squadre rifinite dovranno decollare. Anche sulla percentuale dei votanti tutte le ipotesi sono aperte. Ogni giorno gettiamo i dati in aria cercando di capire un mondo che cambia. Un modo pigro e forse un po’ deluso.
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