La Bohème in technicolor e densa di simboli al Teatro Carlo Felice

di Giulia Cassini

Scene e costumi di Francesco Musante e regia di Augusto Fornari sottolineano la stagione della gioventù e del gioco

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Quattro amici al verde e Musetta, amante del pittore Marcello, sono tra i protagonisti  della storia di Bohème tratta dalle "Scènes de la vie de bohème" di Henry Murger, apparso a puntate su "Le corsaire" nella metà dell'Ottocento. Ad ogni modo la più amata, fin dal colpo di fulmine del primo quadro, è la grande prima parte femminile, Mimì  che porta una ventata di calore direttamente in soffitta.

Non c'è nulla di grigio o di tetro nella rappresentazione genovese de La Bohème fino al 29 dicembre del nudo sottotetto parigino, semmai il mondo vivace e zeppo di colori del quartiere Latino vi entra dentro con la ricca scenografia di Francesco Musante, carica di simboli e del senso del gioco, lo stesso passionale dei due innamorati o degli accordi di "quinta" consecutivi della folla (quelli che potrebbero essere interdetti agli allievi di rigorosi docenti, ma questo è un altro discorso...). Tutti i sentimenti sono zeppi di lirismo, sia lasciandosi andare alle confidenze sotto il trasporto del canto sia nell'esplicita e celebre dichiarazione di Mimì "Mi piaccion quelle cose che han nome poesia".

Simboli contemporanei di quest'opera le colature di vernice su un cuore stilizzato, i libri in primo piano, l'infantilismo di un pupazzo di neve ad alleggerire lo spettro della malattia e delle discussioni amorose, il rosa predominante nel costume di Mimì e certa scenografia che rimanda alla cuffietta del medesimo colore pegno d'amore e la cancellatura di una "f" della parola caffè. Tutto è fiaba fino a un certo punto, fino ad una Musetta che porta un ruolo filologico in pieno e che fa irrompere anche il dramma troncando di netto il gioco. 

Come ha spiegato il regista Augusto Fornari "Rodolfo e compagnia non fanno altro che prendersi gioco di tutto con una leggerezza e una distanza, come se fossero consapevoli di essere personaggi da romanzo, da opera lirica". Eppure è proprio l'opera della giovinezza troncata, della frase "Vorrei che eterno durasse il verno" e  della scenografia con la scritta pop "Fermé l'hiver". Il sogno di un amore sconfinato oltre le ristrettezze e oltre la malattia che è destinato a morire, in uno schiocco di dita, tra singhiozzi letteralmente scritti sulla partitura. Quel carillon che irrompe a sorpresa (e piace come no, dividendo il pubblico in sala) a un certo punto si arresta, destino forse inesorabile da sempre.  Secondo lo scritto di Leonardo Pinzauti "Sembra davvero che Mimì, arrendendosi alla morte, annunci la conclusione di un ciclo". Tutte le informazioni, il cast e le date online su www.carlofelice.it