In Liguria troppe aziende strategiche in crisi
di Paolo Lingua
2 min, 59 sec
Il Punto di Paolo Lingua
L’ultima notizia, calata come una doccia fredda, riguarda la ex Ilva acquisita dal gruppo internazionale Arcelor Mittal. Dai vertici è giunta la decisione di collocare 1400 dipendenti (oltre il 10%) in cassa integrazione per 13 mesi.
La notizia, che per il momento riguarda solo gli occupati dello stabilimento di Taranto, almeno a quel che è emerso, è giunta come un fulmine a ciel sereno e ha provocato dure reazioni in tutto il settore sindacale dei metalmeccanici. Anche a Genova s’è diffuso l’allarme perché non è detto che la decisione di allargare il numero dei cassaintegrati non possa allargarsi. Senza contare che proprio da parte sindacale è stato rimarcato che non sono ancora giunte certezze definitive sulla scelta di fissare a un migliaio i dipendenti in organico dello storico stabilimento di Cornigliano.
Le notizie che riguardano l’imprese siderurgica più importante d’Italia e una delle maggiori in Europa non sono rassicuranti, dopo l’accordo di Governo con il quale si era chiusa la complessa e tormentata vicenda. I sindacati sono, per forza di cose, sul piede di guerra: per la verità, ancora due anni fa, quando era in corso la faticosa trattativa, con la mediazione del governo precedente l’attuale, qualche timore di tagli o di ridimensionamenti era diffuso, anche perché queste scelte sono più agevoli per imprese che hanno la “testa” a livello internazionale, rispetto a imprese che hanno le radici e la loro storia nel territorio nazionale.
Da parte dei vertici di Arcelor Mittal si cerca di buttare acqua sul fuoco e di alludere a una decisione provvisoria e non definitiva, frutto d’una crisi dei mercati mondiali. Ma la diffidenza, tra i dipendenti e i sindacati, è diffusa. I prossimi giorni ci faranno capire, dopo incontri di vertice visto che il governo è stato chiamato in causa, se è possibile un passo indietro o un ridimensionamento del provvedimento.
La vicenda dell’ex Ilva sembra affiancare altre note negative che ricadono, i questi casi specifici ancor più direttamente, sull’economia della Liguria. Una prima questione riguarda la Bombardier: si faranno o no le nuove motrici e i nuovi treni, un po’ annunciati e un po’ negati? E poi, quale sarà il vero destino della Piaggio con le commesse, anche in questo caso, un po’ annunciate e un po’ negate, di aerei militari e droni, sui quali ci sarebbe l’interesse di imprese pubbliche e della Difesa?
Se ci collegano tutti i casi di maggior spicco si arriva a rischiare il posto di migliaia di lavoratori, dislocati sul Ponente della Liguria e a Genova. La Liguria sembra dissestata con queste crisi che si prolungano in maniera snervante da molti anni, per non dire da decenni. A volte non si comprende se queste grandi imprese hanno un destino segnato oppure se sono al centro d’una pressione strumentale tesa a diminuire il numero dei dipendenti.
Il vero problema dell’economia della Liguria è che si va con un andamento altalenante: mentre sembrano in ripresa le attività portuali e di shipping che sono da collegarsi ai progetti impegnativi di interventi di fondo nello scalo (diga foranea, Hennebique, Ponte Parodi, Waterfront di levante, ribaltamento a mare della Fincantieri) altre attività boccheggiano e non sempre di riesce ad acciuffare il vero bandolo della matassa, tra rinvii e contraddizioni.
Di fronte a questo contesto emerge la debolezza dell’attuale Governo, che naviga in mari burrascosi, visti i rapporti non facili tra la Lega e i M5s, mentre incombono i pesanti interventi da parte dell’Ue sull’economia del nostro Paese, sempre più in crisi. E’ inutile farsi illusioni. Il momento è davvero difficile e chi soffre per crisi strutturali rischia il peggio.
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