In demolizione la “Stockholm”: nel 1956 affondò l’“Andrea Doria”
di Paolo Lingua
Già componente della flotta crocieristica portoghese “Portuscale Cruises”, fallita da mesi, e ora ancorata a Rotterdam, la “Stockholm è in vendita per 10 milioni di euro per chi vorrà poi demolirla. La nave ha 73 anni ed è passata per 9 gruppi armatoriali, ambiando nome per 11 volte (per cancellare il ricordo del primo). L’ultimo era “Astoria”. Si chiude così una tragedia e una vicenda amara, anche per gli strascichi non sempre esaltanti dopo il naufragio. Il naufragio dell’ “Andrea Doria”, varata nel 1951, nei cantieri Ansaldo di Genova e per molti anni ammiraglia della flotta passeggeri italiana, resta un episodio drammatico e per molti aspetti unico tra tante disastri marittimi consimili. L’unità, che copriva il percorso tra l’Italia e gli Usa con scali Genova-New York, quando il tragitto non era ancora servito dalle linee aeree, era considerata, per l’alto livello della cantieristica italiana, un’eccellenza: prima della fine del sistema dei transatlantici, sarebbero state varate ancora la “Cristoforo Colombo” e la “Leonardo da Vinci”, tutte sotto la bandiera della Finmare.
L’ “Andrea Doria”, che aveva 1200 passeggeri e oltre 500 uomini di equipaggio, quando era in vista delle coste americane, in una giornata di fitta nebbia, il 25 luglio del 1956. Venne speronata dalla “Stockholm”, una nave svedese che portava sia merci che passeggeri, dotata d’uno sperone rinforzato che poteva servire anche da rompighiaccio: e questo particolare tecnico fu la causa dell’affondamento dell’unità italiana che subì uno squarcio enorme. L’ “Andrea Doria” affondò il giorno successivo, mentre la neve svedese, pur danneggiata rimase a galla. Il naufragio provocò la morte di 46 italiani e di 5 svedesi. Il comandante italiano, Piero Calamai, decorato nella Prima Guerra Mondiale, ufficiale di grandi capacità e prestigio, voleva restare a bordo mentre la sua nave colava a picco. Scese per ultimo nella scialuppa trascinato dai suoi ufficiali. Il dramma del naufragio occupò per anni e anni i media mondiali.
Si aprì un processo a New York e da parte svedese vennero sferrati duri attacchi su presunti errori da parte italiana. Autorità e tecnici degli Stati Uniti ribaltarono quelle tesi e anche da parte italiana si dimostrò nel corso del dibattito e delle perizie la maggiore responsabilità dei vertici della “Stockholm” che navigava a una velocità troppo alta per una giornata di fittissima nebbia. Ma la vicenda processuale non si concluse perché le parti – italiani e svedesi – trovarono, con le società di assicurazione, un accordo extragiudiziale che, alla fin dei conti, favorì economicamente la parte italiana perché aveva avuto i danni maggiori. Per le vittime vennero stanziati 5 milioni di dollari. Il comandante Calamai, si ritirò a Genova, in silenzio, amareggiato. Non si era sentito difeso come meritava e non volle più navigare, anche perché era vicino alla pensione. Il comportamento di Calamai venne riabilitato negli anni successivi e gli vennero riconosciuti tutti i meriti, perché del naufragio non aveva alcuna colpa. Calamai morì nel 1972 a Genova, all’età di 75 anni. E’ sepolto nella tomba di famiglia nel cimitero di Sant’Ilario. Un suo fratello minore, Marco, contrammiraglio della marina militare, morì in una giornata di burrasca mentre ara al timone d’una sua imbarcazione da turismo , pochi anni dopo il naufragio dell’ “Andrea Doria”.
Il relitto del transatlantico italiano ancora oggi è considerato un simbolo. Nel corso dei decenni è stato individuato e visitato e ne sono stati recuperati referti di prestigio. La “Stockholm” dopo il sua restauro riprese il mare come nave da crociera e, come si è detto, cambiò continuamento il nome, quasi temendo la orrenda fama che la circondava. Ora, dopo una vita infinita in mare, si avvicina l’ora della sua demolizione. Nessun rimpianto.
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