Il Ponte, da tragedia a modello

di Paolo Lingua

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Il Ponte, da tragedia a modello

Ha fatto bene il premier Giuseppe Conte ha ribadire il concetto, al termine del suo breve intervento: la ricostruzione del ponte di Genova, dopo il tragico (e assurdo) crollo, è un modello che deve servire in futuro per l’Italia. Non è una novità assoluta, come ragionamento e riflessione, ma è l’aspetto più importante d’una vicenda che tutti si augurano non si debba più ripetere. Con la sistemazione della ultima campata, il ponte (non ha torto Renzo Piano che lo ha disegnato a sostenere che dovrebbe chiamarsi Ponte di Genova, espressione semplice e assoluta) ha unito le due sponte del Polcevera e ha raggiunto la sua lunghezza prevista di 1067 metri. Ora, come è noto, occorreranno tutti i delicati assestamenti, la copertura del percorso, l’asfaltatura, la collocazione dei sistemi più avanzati di monitoraggio. Poi, a luglio, riprenderà in meno di due anni il suo ruolo e le sue funzioni. Che tutti sappiamo essere della massima importanza e della massima strategia per la comunicazione a 360 gradi. Si unirà il levante il ponente della Ligiuria e si riapriranno i collegamenti con la Lombardia e con il Piemonte. E con la Francia. Sarà un tornare a vivere. Era giusto siglare il completamento del tracciato con una cerimonia. Ma, anche in ricordo delle 43 vittime che avranno una memoria incancellabile nel memoriale del parco che sarà realizzato sotto le campate, la cerimonia è stata molto sobria, anche se segnata dalla presenza del primo ministro Giuseppe Conte e del ministro alle infrastrutture Paola De Micheli, oltre che dei vertici delle imprese che hanno realizzato l’opera, in tempo da record e con altissimo livello di maestranze e di qualità del prodotto.Un discorso a parte merita il sindaco-commissario Marco Bucci che non ha mollato un solo istante il controllo e la regìa dei lavori, credendoci fermamente e, più da manager quale è la sua storia personale, ha concepito un modello esecutivo, frutto certamente dell’urgenza e della eccezionalità, che dovrebbe restare un nuovo sistema operativo per le grandi opere pubbliche.

E qui torniamo al riferimento dell’intervento di Conte. Il premier che è diventato un “politico” a tutto tondo da meno di un anno, ha capito come docente universitario e come avvocato che in Italia, soprattutto negli ultimo trent’anni o forse anche di più, sulle opere pubbliche di cui il Paese aveva urgente bisogno si sono accumulati stop e ritardi, frutto quasi sempre di cavilli amministrativi il più delle volte assurdi o comunque perché i progetti sono diventati da una parte oggetto di ricorsi e denunce di tutte le imprese interessate all’opera e dall’altra a complicati (e non meno assurdi) scontri polemici di natura politica.

Solo per restare ai casi più recenti basterebbe pensare al teatro tragicomico attorno alla Torino – Lione (la Tav) o, per restare in Liguria, ai trent’anni di convegni, discussioni, tavole rotonde, elucubrazioni che hanno ritardato la realizzazione, per fortuna in corso, del Terzo Valico. Ma non appare assurda la lentissima realizzazione del raddoppio ferroviario della linea Ventimiglia – Genova iniziato all’indomani della fine della guerra? E non è pure ancora più assurda la discussione non ancora finita (ci auguriamo un colpo di reni del ministro De Micheli, visto che ha citato la ripresa di grandi opere proprio stamani nella cerimonia del ponte) sulla ormai “leggendaria” Gronda, bloccata dall’inizio degli anni Novanta e che se fosse stata realizzata avrebbe assorbito una parte dei guai del crollo dell’ex ponte Morandi?

La cultura del commissariamento, almeno per opere di pubblica utilità e di vasto respiro sociale ed economico, è, lo ripetiamo, un modello. Serve a scavalcare la burocrazia inutile e infruttuosa e a velocizzare le opere, anche con un controllo continuo e ad aumentare sicurezza e qualità. L’economia moderna, che contiamo di rivedere con la testa rialzata dopo i fatali stop del coronavirus, ha bisogno di scelte rapide – soprattutto nelle comunicazioni e del traffico delle merci – perché le variabili produttive e la continua innovazione tecnologica implicano veloci mutazioni di mercato. L’innovazione e le scoperte scientifiche non possono ammuffire nei laboratori. Ecco perché, nella disgrazia che non va dimenticata, emerge il modello del sistema del commissario-manager che va introdotto e adottato. Questo il vero senso e il vero messaggio della sobria cerimonia di oggi. Le sirene del porto non sono solo un saluti emblematico, ma un invito a metterci in viaggio.