Il governo e l'Italia degli eterni rinvii

di Paolo Lingua

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Il governo e l'Italia degli eterni rinvii

La vicenda della concessione ad Aspi (controllata da Atlantia dei Benetton), la situazione difficile della ex Ilva, la discussione assai complessa di quel che riguarda i progetti che dovrebbero essere finanziati dal “Recovery Fund”. La decisione che, prima o poi, dovrebbe essere presa per l’impiego o meno dei miliardi del Mes. Ecco, in fila, una serie di scelte qualificanti e strategiche che dovrebbe assumere il governo e che, secondo un vecchio e inveterato vizio italiano,  vengono sistematicamente rinviate. Per le autostrade, il cui accordo doveva essere chiuso il 30 settembre, sono affidate a un rinvio di dieci giorni: ma ce ne sarà un altro poi? E’ molto probabile.  E la soluzione sembra sempre più nebulosa. E la questione siderurgica? Gli stabilimenti ex Ilva sono da tutti considerati un complesso unic9o in Europa e sembrava che un sovranazionale come Arcelor Mittal ne volesse fare il suo gioiello. Invece da due anni si litica su tutto, punto per punto.

Il Mes è un mistero: non si capisce l’ostilità dei grillini e il conseguente timore d’uno scontro che rende silenzioso il presidente del consiglio Giuseppe Conte. Infine, ma è forse la questione più grossa, restano vaghi i progetti relativi al recupero dei fatidici 209 miliardi del “Recovery  Fund” dell’Ue. Si annunciano come spot il potenziamento della “green economy” e della politica a favore dell’occupazione giovanile, si parla di modifiche del sistema fiscale senza entrare nel dettaglio. Si sa che sui temi e sulle strategie ci sono visioni differenti e discordanti all’interno del governo, con posizioni a volte completamente opposte tra Pd, Italia Viva e soprattutto il M5s. In particolare si svicola sulla strategia da attuare sui cantieri da sbloccare ovvero la scelta di fatto più importante per la ripresa dell’economia e dell’occupazione. Ovviamente sul Mes si stende il più assoluto silenzio. Sono questi gli aspetti che rendono dubbiosa la fiducia nei confronti del governo che per il momento continua a rinviare e a non decidere, anche se, per la verità, dopo l’esito elettorale il Pd e il suo segretario Zingaretti sembrano protesi (e in questo anche Italia Viva) a scegliere e a decidere una volta per tutte.

Il freno, ancora una volta, viene dai grillini che non vogliono le modifiche della legge sulla sicurezza, hanno dubbi sulla questione del reddito di cittadinanza e sulla politica nei confronti degli immigrati. E sono dubbiosi se non completamente ostili sulla ripresa delle grandi opere infrastrutturali da tempo bloccate e, come si è detto già molte volte, si oppongono al Mes.  L’opposizione di centrodestra protesta, a volte in termini molto, se non troppo, generalisti impuntandosi anche in eccesso sull’immigrazione, tema assai complesso ma forse non la maggiore preoccupazione del Paese. E’ indubbio che, in particolare sui fondi del “Recovery Fund” , le incertezze dell’Italia nelle scelte strategiche dell’economia danno vigore alle azioni di opposizione da parte degli Stati poco inclini alla politica dei crediti per riprendere l’economia messa in crisi dal Covid. Olanda, Ungheria, Austria, Paesi Scandinavi ne approfittano per mettere freni e zeppe alla politica della spesa, dal momento che si sono sempre opposti al “Recovery Fund”.

La situazione generale rischia quindi di complicarsi e di ingarbugliarsi. Da parte dell’Italia occorrerebbe un colpo di reni preciso con progetti molto chiari e non con sovrapposizioni di tipo localistico, sulla spinta delle amministrazioni regionali e comunali alla ricerca del consenso su progetti limitati nello spazio. La strategia operativa da mettere in atto deve avere un altro respiro: problemi come le autostrade, la siderurgia, la sanità devono avere una netta preminenza per far riprendere la produzione e i servizi, possibilmente collegandosi con i paesi che in Europa hanno le medesime strategie. Il sovranismo e il populismo non pagano, come del resto non hanno mai pagato, ma occorre credere nello sviluppo e nella crescita. La “decrescita felice” è una farsa che non fa ridere nessuno.