Il campo largo si spacca persino su Trump: forse, anche a Genova, la soluzione è separarsi
di Matteo Cantile
Dopo i risultati deludenti ottenuti in coalizione il Movimento 5 Stelle sceglierà di tornare a correre da solo?
Oggi gli Stati Uniti d'America sono chiamati a scegliere il loro nuovo Presidente, in un testa a testa tra la democratica Kamala Harris e il repubblicano Donald Trump: e, per quanto il sistema politico e valoriale statunitense sia molto diverso dal nostro, è innegabile che il risultato a stelle e strisce impatterà anche sull'Europa e di conseguenza sull'Italia.
Vinca il migliore - Stabilire, da questa parte dell'Oceano, chi sia il Presidente che meglio saprà rispondere ai nostri interessi nazionali e continentali è un esercizio difficile e ancora più complesso, e inutile, è schierarsi con l'uno o con l'altra: per farlo dovremmo condividere valori, passioni, questioni che sono tipici di quel Paese, lontano migliaia di chilometri (o miglia, se preferite), dal nostro. Eppure, siccome gli italiani intendono la politica con la stessa logica del tifo, sono molti gli elettori del Belpaese che supportano a tutta voce il loro candidato preferito.
Blocchi trasversali - Analizzando questa propensione al voto americano, però, si scoprono dati curiosi che rappresentano bene l'anomalia del bipolarismo italiano: a questo proposito c'è un sondaggio commissionato nei giorni scorsi da Rainews all'istituto Piepoli che mostra con chiarezza tutte le stravaganze del nostro sistema. Centrodestra e centrosinistra sono infatti divisi anche sulla scelta, apparentemente meno appassionante, del nuovo inquilino della Casa Bianca.
Harris vince ovunque - Il primo dato che salta all'occhio è che se Kamala Harris dovesse essere eletta solo con il voto degli italiani diventerebbe Presidente senza troppa fatica: tra gli elettori del centrosinistra riceverebbe un plebiscito (la voterebbe il 71% dei progressisti), ma sarebbe la più votata anche nel centrodestra (41% contro il 38%, con un corposo 21% di indecisi). Ma analizzando le coalizioni al loro interno si scoprono dettagli interessanti.
Grillini trumpiani - Se non sorprenderebbe affatto trovare molti sostenitori di Donald Trump nella Lega (i cui vertici si sono molto spesi, per quanto la cosa sia del tutto inutile, nel sostegno al tycoon), meno scontato è il dato che l'istituto Piepoli ben evidenzia tra gli elettori del Movimento 5 Stelle: i grillini appiano fortemente trumpiani con il 54% di loro che voterebbe Donald Trump; solo il 24% di coloro che si dichiarano elettori pentastellati voterebbero Kamala Harris mentre il 21% non ha una risposta.
Campo stretto - Ed è questa considerazione sul voto americano a mettere ancora una volta in luce le dure contraddizioni che oppongono il partito di Giuseppe Conte a quello di Elly Schlein: con molta difficoltà le due fazioni cercano da tempo di trovare un terreno comune, quello che era stato definito con un certo ottimismo campo largo, ma alla prova delle idee le due parti si spaccano. E' questo un tema emerso anche nelle recenti elezioni in Liguria e che si è rilanciato nelle ultime ore con le asprezze dell'ex Sindaca di Torino, Chiara Appendino, che ha duramente criticato la candidatura di Andrea Orlando, giudicato inadeguato allo scopo: e alla quale, ovviamente, i Dem hanno risposto a tono.
Serve sempre un garante - Mentre nel centrodestra le contraddizioni non vengono mai taciute ma semmai valorizzate in chiave elettorale, nel centrosinistra la spaccatura è tanto nascosta quanto evidente. E, peraltro, serpeggia non solo sui grandi temi etici (per esempio lo Ius Scholae che divide Forza Italia dalla Lega) ma anche sull'operatività più spicciola e probabilmente più importante (specialmente a livello locale). E' per questo che Andrea Orlando in Liguria è stato più volte costretto a erigersi a baluardo del rispetto del programma elettorale, un problema che non ha minimamente sfiorato Marco Bucci: tra i progressisti (ma i grillini lo sono?) serve sempre qualcuno che dica "ci penso io", salvo che l'esercito degli indecisi crede poco ai demiurghi, specialmente se sono di sinistra.
Insieme è un problema - Questo tema non potrà che riproporsi presto anche alle elezioni comunali: il Movimento 5 Stelle, stracciato nei consensi sia all'ultima tornata amministrativa (nel 2022 con il 4,40% dei consensi) che in quella Regionale (la scorsa settimana, con il Movimento fermo al 4,56%, un po' meglio nel comune di Genova dove ha raggiunto il 5,48% con poco meno di 12mila voti), tornerà a presentarsi assieme al resto del centrosinistra? Usando la logica la risposta sarebbe no, visto che presentandosi da solo alle elezioni Europee (era appena lo scorso giugno) nel comune di Genova aveva raccolto il 12% del consenso con oltre 26mila voti (più del doppio rispetto alle Regionali). E ancora meglio era andata alle politiche di due anni fa, sempre con il Movimento libero da coalizioni: da soli, insomma, i pentastellati performano molto meglio.
Che fare? - Nella corsa a Palazzo Tursi è dunque possibile che il Movimento 5 Stelle provi a correre da solo, magari ripresentando quel Luca Pirondini che rappresenta da tempo una forza molto significativa all'interno di quell'area politica: il rischio è che spaccando l'opposizione si possa riconsegnare il Comune al centrodestra già al primo turno (se raggiungesse il 50+1% dei voti, cosa difficile ma non impossibile) ma allo stato attuale sembra questa la strada più efficace da percorrere per ricompattare l'elettorato grillino. Che ha bisogno di sfide nuove, di ritrovare la purezza delle sue origini e che è probabilmente stanco delle continue stilettate tra il suo leader, Giuseppe Conte e il suo fondatore, Beppe Grillo: entrambi molto amati, certo, ma che ora iniziano a rappresentare il punto di maggior debolezza dei 5 Stelle.
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