I misteri e le strategie sulla sorte del Governo

di Paolo Lingua

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Il punto di Paolo Lingua

I misteri e le strategie sulla sorte del Governo

Ormai da settimane a Roma,  nel resto dell’Italia e in tutti gli ambienti politici gira sempre più insistente la voce d’una costante pressione da parte dei vertici della Lega su Salvini perché faccia cadere il Governo, visti i sempre più numerosi contrasti con la linea del M5s. Non c’è argomento – più serio o più leggero – in cui non emergano, nel volgere di poche ore, visioni strategiche  e contenuti diametralmente opposti. Grandi opere, autonomie regionali, ordine pubblico, migranti, rapporti con l’Europa, temi di politica estera (rapporti con Usa, Cina e Russia, ecc.) e così via. Non mancano nemmeno, con faticosi tentativi di mediazione del primo ministro Giuseppe Conte, scambi di insulti e giudizi personali sferzanti tra ministri. E’ la cronaca di tutti i giorni, ormai. Ma c’è un punto sul quale occorre riflettere, perché ha una natura tecnica determinante. La potenziale crisi di governo può scattare solo entro una decina di giorni perché poi è prevista la discussione nei due rami del Parlamento per l’approvazione, scadenza indifferibile, della legge finanziaria.  Legge che può essere procrastinata solo nel caso d’una precedente crisi di governo.

A questo punto la crisi decolla entro dieci giorni oppure occorre andare all’autunno, tra settembre e ottobre. Il che vuol dire che se dovesse saltare l’alleanza Lega – M5s si andrebbe al voto in primavera, anche in concomitanza delle elezioni regionali previste per diverse amministrazioni in scadenza, Liguria compresa. Questa ipotesi, si sussurra, sarebbe preferita da Matteo Salvini che conta di aumentare il consenso attorno alla Lega e alla sua personale leadership. Il “dream” salviniano è una presidenza assoluta e carismatica per rivoltare, se possibile, tutti gli aspetti politici e amministrativi. Questa linea trova dubbi proprio in casa sua, a cominciare dal suo luogotenente, il sottosegretario Giorgetti. In realtà quella parte della Lega più vicina , in particolare nel Nord Italia, al mondo delle categorie professionali (commercianti, artigiani, industriali) non è incline a cambiamenti radicali di cose e persone e preferirebbe una accordo di ampio respiro per puntare alla ripresa economica e agli investimenti, senza accentuare troppi contrasti con i ceti dirigenti consolidati. Inoltre , questa vasta fascia dell’opinione pubblica è sempre più contraria alle scelte -  marginali ma demagogiche – dei “grillini” sulle scelte di tagli al parlamento, ai vitalizi, alle cosiddetti “pensioni d’oro” e a tutti i provvedimenti che sul piano economico non portano che scarsi risultati e sono solo frutto di invidia sociale. Semmai si preferirebbe puntare, con provvedimenti messi a punto con rigore, al taglio delle tasse sia per i dipendenti, sia per gli imprenditori al fine di rilanciare investimenti e consumi (e quindi occupazione).

In questa chiave non ci sono ostacoli per una possibile alleanza di centrodestra a tre, con Fratelli d’Italia e Forza Italia, anche perché quest’ultimo partito, sia nella lettura di Giovanni Toti sia in quella di Silvio Berlusconi,  insiste su una linea moderata, liberale e sia pure nella prospettiva di modifiche, decisamente europeista. Ora, come sempre, il pendolo della cronaca oscilla in maniera inquietante tra le diverse soluzioni, in un clima sempre più dominato dai nervi tesi e che comunque scavalca le discussioni in corso all’interno dei partiti d’opposizione. Nel Pd riprendono le rivalità e le tensioni tra vecchi “colonelli”. In Forza Italia si discute, ancora senza troppa chiarezza, tra la linea annunciata da Giovanni Toti e l’assetto storico del movimento. Ma queste diatribe non incidono direttamente sui rapporti tra Lega e il M5s che restano tutto sommato arbitri della situazione.Le cose potrebbero cambiare, ma solo dopo un eventuale confronto elettorale. Che per adesso è ancora un mistero all’italiana.